Da disciplina per ricchi a fenomeno di massa. Di passato e sfide future parliamo con Grégory Quin, co-autore del libro ‘Le ski en Suisse. Une histoire’
Ci sono i campioni che fanno la storia: Marco Odermatt e Lara Gut-Behrami, Pirmin Zurbriggen e Vreni Schneider, Bernhard Russi, Roland Collombin e Marie-Thérèse Nadig, Michela Figini e Maria Walliser, Carlo Janka e Didier Cuche (l’elenco è ridotto all’osso per motivi di spazio). E ci sono le immagini che hanno fatto la Storia (la maiuscola è voluta) di uno sport intrecciato alla Svizzera come i funghi alle radici degli alberi. Dire Svizzera vuol dire sci. E viceversa. Perché sì, la pratica è un po’ calata; ma lo sci resta fortemente ancorato nell’identità nazionale. Sarà così anche in futuro?
Ne parliamo con Grégory Quin, insegnante e ricercatore all'Istituto delle scienze dello sport all'Università di Losanna e coautore del libro ‘Le ski en Suisse. Une histoire’.
Per essere un Paese di sci, basta avere tante montagne?
Senza è difficile; basti vedere come le maggiori nazioni di sci sono quelle che hanno montagne. È però pure necessario un mix tra forte sviluppo economico; flussi turistici già presenti, capaci di portare le persone in quota per praticare sport (sono le condizioni che c’erano agli albori dello sci in Svizzera, attorno al 1900); e una forte volontà politica (non per forza centralizzata a Berna) di sovvenzionare e incoraggiare la costruzione di infrastrutture così come linee ferroviarie tra le montagne, funzionanti in inverno.
Negli anni Ottanta e Novanta lo sci è praticato pressoché da tutti: come si è democratizzato?
Grazie a due fattori: fondamentale è la creazione di Gioventù e Sport (il più grande programma di promozione dello sport della Confederazione che sostiene società e federazioni sportive, scuole, Comuni e Cantoni che offrono a bambini e giovani la possibilità di partecipare a campi, allenamenti regolari o lezioni di sport extrascolastico secondo le regole di G+S, ndr) nel 1972. È una data-chiave: G+S investe molto denaro nelle scuole per organizzare corsi di sci; unico sport a beneficiare di questo genere di sovvenzioni. Pur non avendo statistiche precise, è probabile che in Svizzera attorno al 1980 quasi ogni giovane scii. Ciò non significa che tutti lo pratichino regolarmente, ma hanno l’occasione di provarlo durante la scuola dell’obbligo e dunque di farsi un’idea di cosa sia. Il secondo fattore è che tra il 1950 e il 1980 circa furono costruiti moltissimi impianti di risalita. La Svizzera si è dunque trovata con un’offerta talmente elevata e capillare da rendere lo sci sempre meno caro.
Gli 80-90 sono stati gli anni in cui sciare costava meno e molte persone sapevano farlo. Diventa così il vero e proprio sport nazionale in un periodo combaciato, forse per caso, con l’epopea dello sci svizzero a livello competitivo: i successi in Coppa del Mondo, le Olimpiadi di Sarajevo nel 1984 (con, tra le altre medaglie, l’oro di Michela Figini in discesa, ndr), i Mondiali in casa di Crans Montana (dove i rossocrociati conquistarono ben otto ori dei dieci disponibili, ndr). Fu un’epoca d’oro, in cui la gente guardava lo sci in televisione, lo praticava in massa durante l’inverno, andava in vacanza per farlo.
In quegli anni le gare in tv erano imperdibili, che si fosse sciatori o meno. Nel libro ‘Le ski en Suisse’ parlate di identificazione con i campioni: perché questa immedesimazione?
Contribuirono i grandi duelli, come tra Bernhard Russi e Roland Collombin o tra Michela Figini e Maria Walliser. La particolarità è che è uno sport individuale e al contempo collettivo. Così, nell’euforia delle 14 medaglie svizzere ai Mondiali di Crans c’era chi era più contento di una o dell’altra a dipendenza di chi fosse il suo beniamino.
I campioni erano simboli dell’avercela fatta. Perché vincenti, ma anche in quanto percepiti come persone autentiche data la provenienza prevalentemente da regioni di montagna. Persone ‘vere’, che non si montano la testa, i cui genitori potevano essere contadini. Erano loro gli eroi dello sport svizzero; tanto più che lo sci non aveva concorrenza. Nel calcio, ad esempio, la Nazionale svizzera era allora poca cosa e le qualificazioni ai grandi eventi per lo più utopia. I mass media hanno sicuramente contribuito a rendere popolare sci e sciatori svizzeri che primeggiavano in Coppa del Mondo. Attraverso stampa e tv lo sci entrava davvero in tutte le case.
Quanto è (stato) importante lo sci per il turismo svizzero?
Oltre alle cose ‘seriose’ e per questo identificate come importanti (banche, politica), ce ne sono altre e il turismo è una di queste. L’impressione è che sia solo tempo libero e quindi conti meno, invece è un vettore e un fattore di coesione. Anzitutto c’è un importante turismo interno (vodesi che sciano nei Grigioni, argoviesi che sciano nel canton Berna, ticinesi che sciano in Vallese e così via) e dunque una conoscenza della Svizzera che passa anche attraverso lo sci. Gli sport invernali, lo sci in particolare, hanno diversificato il settore; che resta ovviamente più forte nei mesi caldi, ma che vede il turista invernale spendere mediamente di più (300-400 franchi al giorno) rispetto a quello delle altre stagioni (150-200), e chi scia sborsare più di chi va in montagna per fare altro.
Con turista invernale non s’intende unicamente chi si lancia sulle piste: scrivendo il libro è emerso come scii meno della metà di chi frequenta le stazioni di risalita. Ciò si spiega in parte col fatto che, a differenza di altre località (come Avoriaz in Francia, concepita praticamente dal nulla negli anni 60-70), in Svizzera non si è specialmente puntato sulla creazione di questo genere di ‘città in montagna’. Luoghi come Davos, St. Moritz o Gstaad hanno un’offerta ampia e le persone ci vanno sovente per fare altro che non sciare.
Oggi lo sci resta un passatempo o gli si riconosce un peso che va oltre il ‘semplice’ tempo libero?
Credo che resti un hobby. Ma, a differenza degli anni d’oro, oggi c’è maggiore consapevolezza del fatto che fra venti, trent’anni sarà complicato praticarlo perché in certi posti la neve si farà sempre più rara. La soluzione su cui spesso si punta è la posa di impianti per l’innevamento artificiale; ciò che dal profilo ambientale può dare adito a discussioni e comunque per le stazioni a quote più basse non è una soluzione a lungo termine. Cercare di salvare lo sci a volte a ogni costo e prendendo decisioni che possono essere irrazionali (come piazzare cannoni da neve a mille metri di quota), mi porta a dire che allo stesso tempo lo sci è ritenuto essere qualcosa di rilevante, che non si ha voglia di perdere.
Che importanza dà la Svizzera allo sport, considerato che un libro sulla storia di una disciplina storicamente ancorata al Paese non è stato scritto prima?
Anzitutto va detto che la Svizzera è un Paese che guarda maggiormente al futuro rispetto al passato; perciò c’è meno slancio nel creare luoghi in cui si ‘celebra’ un’eredità, qualunque essa sia. Da noi lo sci si fa, piuttosto che lo si conosce. Forse in occasione del ritorno dei Mondiali a Crans Montana nel 2027, i fari si riposeranno su questa disciplina e la gente tornerà a condividere questa storia collettiva. Inoltre c’è una sola Università in cui esiste un corso di storia dello sport, quella di Losanna; manca quindi una dinamica entro la quale fare ricerca. In Svizzera, a grandi linee, lo sport si studia nell’ottica di ottenere progressi in ambito della salute e, nel settore delle gare, per ottenere medaglie. E mi spiego. Da un lato è molto ancorato il concetto di sport per tutti (compreso per il maggior numero di giovani a scuola); dall’altro lato negli atenei ci sono persone che lavorano su cose come lo sviluppo delle capacità cardiache o polmonari; elementi, cioè, molto legati alla performance.
Non vengono per contro presi in considerazione aspetti, diciamo così, più sociologici dello sport. Ogni sei anni si esegue uno studio per capire quali e quanti sport pratichino gli svizzeri; ma non si sa quali gruppi sociali sciino, se negli ultimi anni sia diventato più elitario, se (per fare degli esempi) chi scia giochi anche a golf oppure a calcio.
Lo sci è il polso della società, riflettendone degli aspetti?
Ritengo che sia la sola disciplina che in Svizzera si possa definire veramente sport nazionale. Non solo è un riflesso della società, ne è un ingranaggio importante: è praticato da un’ampia fetta di popolazione; è molto mediatizzato (più del calcio, se si fa la proporzione tra numero di sciatori/calciatori, e ore che le tv nazionali dedicano ai due sport); ancora diverse scuole prevedono settimane bianche. È l’unico sport a rientrare in tutte queste caselle.
Eppure siamo lontani dagli anni d’oro dello sci. Prezzi (delle giornaliere ma non solo) in costante crescita e neve vieppiù scarsa trasformeranno lo sci in sport per pochi (ricchi)?
Sì. A un certo punto lo sci era diventato meno caro in quanto meno raro, grazie a un’offerta di impianti amplissima e capillare. Con l’innevamento che anno dopo anno si fa qua e là più scarso, lo sci torna a essere meno comune. E come tutto ciò che si fa meno comune, lo sci diventa più oneroso e dunque meno democratico. Ci sono tutte le condizioni affinché torni a essere una disciplina d’élite. Oggi, peraltro, non si costruiscono praticamente più nuove stazioni; si investe solamente in manutenzione o miglioramenti. Le grandi teleferiche più recenti (Zermatt/Cervinia, Grindelwald/Jungfraujoch, Schilthorn/Mürren) sono poco o per nulla pensate per lo sci, ma per un altro tipo di turismo.
Lo sci in quanto sport d’élite ha un futuro in Svizzera?
Sì e sembra un paradosso: le stazioni maggiormente associate a un’immagine elitaria (come St. Moritz, Gstaad, Verbier, Zermatt) sono anche quelle con il comprensorio sciabile a più alta quota. È probabilmente lì che la neve continuerà a esserci. E siccome sono già frequentate da una clientela generalmente più d’élite, è ipotizzabile che saranno le stazioni che subiranno un minor calo di sciatori.
I giovani di oggi hanno le stesse possibilità di sciare ancora a lungo, come i loro coetanei degli anni 80-90?
La Svizzera è uno dei Paesi con il tenore di vita più alto al mondo. Ci sono perciò chance che la gente abbia i mezzi per permettersi di sciare. Certo, dietro il salario medio ci sono situazioni molto diverse e ovviamente anche qui non mancano persone in difficoltà finanziarie. Resta il fatto che, a priori, da questo punto di vista un giovane svizzero è meno svantaggiato rispetto a uno di un altro Paese. D’altro canto rispetto agli anni 80-90 i giovani oggi hanno molti più sport tra i quali scegliere, che in qualche modo creano una concorrenza ‘interna’. Se lo sci è minacciato in tal senso, lo è al pari del calcio o della ginnastica. Senza dimenticare il pericolo principale, ossia la rarefazione della risorsa principale dello sci che è la neve specialmente nelle stazioni a basse quote.
Lo sci, l’escursionismo, il ciclismo, il nuoto e il jogging – cinque sport che si possono praticare lungo tutta la vita – formano la cosiddetta combinata elvetica che guida la classifica degli sport preferiti dagli svizzeri; con l’escursionismo a crescere del 12,6 rispetto al 2014 e addirittura del 19,5 per cento rispetto al 2008. Camminate che rimangono l’attività più amata da entrambi i sessi e in tutte le fasce d’età.
Per la prima volta dal primo studio effettuato nel 2000, la percentuale di persone che si definiscono non sportive è diminuita in modo netto, passando dal 26 al 16 per cento (di cui ben il 70% ha praticato sport in passato). L’aumento degli sportivi tra il 2014 e il 2020 – data dell’ultima analisi ‘Sport Svizzera’ per cui sono state intervistate 13’621 persone – è da ricondurre specialmente alle donne (che ora praticano sport allo stesso livello degli uomini) e alle persone nella seconda metà della vita. I motivi per stare in movimento spesso sono più d’uno tra salute, forma fisica, piacere di stare in attività e all’aria aperta, relax, lotta allo stress; mentre tra le ragioni di non esercitare alcuna attività ci sono mancanza di tempo o voglia, o problemi di salute.
Ciò che emerge dal sondaggio svolto ogni sei anni è che, con metà delle persone rientranti nella categoria dei molto attivi, la popolazione rossocrociata “è estremamente sportiva, anche in rapporto a quella europea”; non di rado pratica più di uno sport (in media uno sportivo fa 4,5 attività diverse) ed è pure notevolmente più attiva (l’80% degli adulti soddisfa le raccomandazioni in materia di attività fisica). Chi pratica sport afferma di farlo per la salute, la forma fisica, il contatto con la natura, il piacere di muoversi, il relax e la riduzione dello stress. Più raramente per mirare a una prestazione o per competizione; specialmente le donne e le persone meno giovani.
Si pratica sport praticamente allo stesso modo nelle zone urbane come nelle campagne; molto diverse tra le due aree risultano invece motivazioni, discipline scelte e offerta sportiva. Col tempo è andata riducendosi la discrepanza tra regioni linguistiche: la Svizzera tedesca resta quella con meno persone inattive, ma Romandia e Svizzera italiana tra il 2014 e il 2020 hanno chiaramente recuperato terreno. Su quanto sport si pratica incidono istruzione e reddito (più è alto il grado di formazione e il salario e maggiore è la percentuale di sportivi e al contempo minore è quella di persone sedentarie); così come nazionalità e provenienza. Gli svizzeri sono più sportivi rispetto agli stranieri che vivono nella Confederazione; sebbene i nati in Svizzera con radici migratorie si distinguano poco dalla popolazione indigena. L’infrastruttura a disposizione della popolazione è “di ottimo livello e varia – si legge nelle conclusioni di ‘Sport Svizzera 2020’ – ed è utilizzata con assiduità. Gli svizzeri sfruttano soprattutto le offerte per fare sport all’aperto”.
Poco più di una persona su cinque (il 22% della popolazione, più spesso uomini e giovani fino ai 25 anni) è membro attivo in una società; in campagna lo si è “chiaramente più a lungo che in città”. Inoltre chi fa parte di un club “si caratterizza per un’attività superiore alla media e partecipa più sovente a competizioni”. Pressoché la medesima percentuale di persone è iscritta a un centro fitness e, contrariamente alle società, le affiliazioni alle palestre (dove s’incontrano specialmente giovani e persone con reddito elevato e nettamente più popolari in città) sono aumentate dal 2014 al 2020. E popolari sono pure le vacanze dedicate allo sport, dato che nel 2019 ben un terzo della popolazione ha trascorso questo genere di villeggiatura: un quarto in Svizzera e poco meno di un quinto all’estero. L’importo medio destinato alle attività sportive è di duemila franchi all’anno; a spendere di più sono uomini, abitanti della Svizzera tedesca e persone tra i 35 e i 54 anni.
Tra le note meno liete dello sport c’è quella degli infortuni: a farsi male praticando un’attività è stato il 9% della popolazione. Un terzo delle lesioni è risultata essere di una certa gravità, con conseguente incapacità lavorativa superiore ai tre giorni. Sono gli uomini a infortunarsi più spesso, ma sono le donne a procurarsi tendenzialmente gli infortuni un po’ più seri. Il maggiore rischio di incidenti si registra negli sport di squadra come la pallamano, l’hockey su ghiaccio, il calcio e la pallacanestro.
Quante ore di sci si praticano in Svizzera? Quanto dura, in media, un’escursione? Chi frequenta maggiormente le piscine, uomini o donne? Il golf è ancora praticato soprattutto da persone benestanti? Quali sono gli sport preferiti dalle persone di origine straniera? E dai bambini? Il canottaggio e la ginnastica sono praticati con la stessa frequenza nelle tre regioni linguistiche? Quali quote di popolarità raggiunge lo sport diffuso nei media?
La risposta a queste e a diverse altre domande si trova nel rapporto dettagliato ‘Gli sport in cifre’: dal 2008 parte integrante dello studio ‘Sport Svizzera’, fornisce numerose indicazioni sulle discipline più popolari e sui gruppi di popolazione che le praticano. Per l’ultima analisi in ordine di tempo, che risale al 2020, sono state interpellate 13’161 persone maggiori di 15 anni. Per ogni sport menzionato dagli intervistati, anche quelli fatti occasionalmente, sono stati rilevati frequenza e durata, il luogo e pure il desiderio di praticare uno sport in futuro. Le oltre trecento discipline citate sono state ordinate in sport o gruppi di sport; di questi, il rapporto presenta i 41 citati più spesso. In testa figura l’escursionismo, praticato dal 56,9% delle persone residenti in Svizzera; mentre in coda c’è la pallamano (0,4%). Altre discipline sono state indicate troppo poco dal campione di popolazione scelto per poter figurare nell’analisi.
Lo studio ‘Sport Svizzero’ è coordinato e finanziato dall’Ufficio federale dello sport, insieme a Swiss Olympic, Ufficio prevenzione infortuni e Suva (Assicurazione svizzera contro gli infortuni); con il sostegno dell’Ufficio federale di statistica. Dal 2000 è realizzato dall’Osservatorio svizzero dello sport.
Il primo sci club fu fondato nel 1893 a Glarona. Il primo campo per la gioventù Juskila (Jugendskilager) si tenne a Pontresina nel 1941: vi presero parte con 600 bambini, solo maschi (l’anno dopo a Wengen ne sarà organizzato uno per femmine). In piena Seconda Guerra mondiale, avviare questo progetto che diventerà poi un’istituzione, fu una scelta coraggiosa e visionaria. I Giochi olimpici di St. Moritz del 1928, i secondi della storia, uno dei numerosi eventi importanti (con diverse edizioni di Mondiali) ospitati dalla Svizzera che, grazie a diverse stazioni (St. Moritz, ma non solo), gioca un ruolo essenziale nell’ascesa e nella popolarità dello sci alpino inizialmente chiamato sci di discesa, pratica che presto viene legata all’idea di modernità.
Questo e molto altro si scopre in ‘Le ski en Suisse. Une histoire’, che si può considerare una monografia sintetica su questa disciplina legata a doppio filo alla Svizzera. Così come la Svizzera è legata a doppio filo allo sci, tanto da far dire a uno degli autori che “non esiste storia nazionale senza lo sci”. Storia in cui il turismo occupa un posto di rilevanza, per quanto agli albori furono gli ospiti stranieri (britannici in particolare) a contribuire allo sviluppo degli sport invernali in Svizzera; Paese che poi si è impregnato della cultura delle discipline della neve. Con l’hotel elemento centrale nella diffusione dello sci e nella nascita della stagione invernale, ciò che fu una vera rivoluzione turistica e sportiva. Il volume traccia la nascita, la diffusione (c’entra anche l’esercito), le prime gare, la parabola tutta ascendente della pratica dello sci che, grazie al boom economico post Seconda Guerra mondiale, da lusso riservato a turisti stranieri diventa accessibile a una larga parte della popolazione. Un’esperienza sempre più alla portata di tutti, tanto da essere cantata da Vico Torriani (autore e compositore nato a Ginevra e d’origine ticinese) nel brano ‘Alles fährt Ski’ pubblicato nel 1961, i cui versi “tutti sciano, tutti sciano, tutta la nazione scia” sono una sorta di inno ufficioso. Un fenomeno di massa e al contempo un simbolo nazionale che, dopo i favolosi anni Ottanta-Novanta, si trova ora confrontato con nuove sfide.
‘Le ski en Suisse. Une histoire’ (Château&Attinger, disponibile anche in tedesco) è stato coordinato a sei mani: Grégory Quin, Laurent Tissot (professore emerito all’Istituto di storia dell’Univeristà di Neuchâtel) e Jean-Philippe Leresche (professore all’Istituto di studi politici e all’Osservatorio scienza, politica e società dell’Università di Losanna). Con la prefazione di Daniel Yule (slalomista svizzero che vanta sette vittorie e 17 podi in Coppa del Mondo) e i contributi di una ventina di collaboratori, ripercorre in tre parti (dal 1890, dagli anni Trenta e dagli anni Settanta del Novecento) pressoché 130 anni di storia dello sci, la sua ascesa a vero e proprio sport nazionale, il suo impatto economico. Un lavoro corposo (288 pagine) che ha richiesto due anni ed è sfociato in un bel volume corredato da numerose immagini.