laR+ Semaine de la Critique

Il cinema al servizio della realtà

La sezione indipendente dedicata ai documentari con l’intenso ‘Dear Beautifiul Beloved’ di Rechinsky e l’interessante ‘Wir Erben’ di Baumann

Dear Beautifiul Beloved
(Horse&Fruits)
13 agosto 2024
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Se si dovesse trovare il filo che unisce in qualche modo i sette film che compongono la Semaine de la critique di quest’anno, questo sarebbe la famiglia. Non che tutti parlino di legami familiari, beninteso, ma scorrendo sembra che ognuno dei documentari affronti il proprio tema da questa prospettiva. Che poi è da dove nasce tutto, dove si distrugge tutto e dove si riaggiusta tutto. Dove ci sosteniamo, da dove veniamo e dove torniamo. E che insomma ha fatto di noi ciò che oggi siamo. L’occasione è anche quella di allargare il tema alla comunità, e al confronto di generazioni diverse.

Come ogni anno la selezione è di ottima qualità: film innovatori, anticonvenzionali, per temi e stile, anche quando è difficile trovare le parole per raccontare o le immagini da mostrare. Mettere l’arte al servizio della realtà, posare uno sguardo personale sull’uomo e sul mondo, trasmettere una propria visione mantenendo il pudore e rispettando eticamente quanto viene ripreso senza voyeurismo.

Più difficile qui che in un mondo di finzione, anche perché alcune realtà non riusciremmo nemmeno a inventarle.

Un’eredità difficile

‘Wir Erben’ di Simon Baumann è il film svizzero della selezione. Nel raccontare una faccenda privata il regista, figlio della coppia Stephanie Baumann-Bieri e Ruedi Baumann – due personalità di spicco nella politica di sinistra degli anni Settanta – ci parla della famiglia e dell’eredità che questa impone. Economica, sì, ma non solo. Siamo alle prese con una donazione, e questo semplice gesto mette a nudo l’interpretazione personalissima di alcuni ideali, nei genitori, e quell’idea di privilegio che in quanto svizzeri sentiamo a volte pesarci addosso. Insomma ci sono due ecologisti socialisti che agli occhi del figlio diventano borghesi e proprietari terrieri senza voler troppo lasciar qualcosa allo stato, e allo stesso tempo c’è la coscienza del regista di vivere in un’epoca che segue quella nella quale tutto o quasi era realizzabile. Oggi gli ideali ci sono ancora, ma è molto più difficile fare qualsiasi cosa e se vuoi una casa, la devi ereditare. Un film che dice tanto senza dire, di ipocrisia, Svizzera e legami famigliari. Girato molto bene, con il voice over di Bauman quasi come una coscienza che parla e parla, e una colonna sonora che spesso ci fa sentire in un road movie, a coprire quella distanza che ci separa dal tempo e dalle vite dei nostri genitori in un mondo che sì, è cambiato.

Due storie dall’Ucraina

Molto più difficile parlare di questo film, perché mentre guardiamo il documentario in sala che ci racconta due realtà della guerra in Ucraina, sappiamo che questa continua a imperversare. È facile cadere nel gioco retorico, è difficile dare voce in maniera così delicata alle storie cui assistiamo. Ci riescono le immagini del regista Juri Rechinsky, che dopo dieci anni in Austria, allo scoppio della guerra decide di raccontare quel che accade nel suo Paese d’origine. Lo fa in risposta a una domanda che lui, ma tutti noi in fondo, ci poniamo o ci siamo posti: cosa posso fare mentre tutto questo accade? Cosa possiamo muovere, come possiamo agire quotidianamente?

“Mi sono avvicinato sempre di più dove la fuga ha inizio, nel momento in cui le persone devono lasciare le proprie abitazioni” racconta con la voce rotta alla fine della proiezione. Ma non tutti possono lasciare la casa autonomamente, e allora la cinepresa segue la storia di alcuni anziani aiutati da molti volontari: viaggi in treno, soste temporanee in ospedali riconvertiti in ricoveri, solidarietà. Restano impressi i volti e la tenerezza di gesti come un taglio di capelli, la fretta imposta, le telefonate al fronte con i nipoti. Il film è girato tanto bene da evitare l’estetizzazione posticcia, dipingendo questo viaggio corale con la cura etica che gli si deve.

Discorso simile per la seconda storia che si riallaccia a questa: “Per il mio viaggio ho dovuto assicurare me e il mio team continuamente perché eravamo in luoghi molto pericolosi. Ho pensato ai miei genitori, che avrebbero voluto sapere dove mi trovassi se fossi morto”. C’è una squadra che cerca i caduti, li raccoglie, dà loro identità e dignità, e li riporta alle famiglie perché riescano a piangerli. Il regista ha seguito il viaggio di questi corpi. Con una distanza e una immobilità dati dalla situazione – la camera è spesso fissa sul conducente e la giovane aiutante – ‘Dear Beautifiul Beloved’ va lì dove un altro viaggio ha inizio, ci va sottovoce, coi piedi ben ancorati al suolo, senza levare né aggiungere nulla.

In questo film – in un Paese in guerra – dolore, speranza e morte coesistono, il futuro non esiste. Quel che resta, in questo presente ai margini dal fronte, sono umanità e rispetto, e vanno visti.

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