laR+ Locarno Film Festival

Due vite solitarie in Concorso

Abbiamo visto ‘Bogancloch’ di Ben Rivers e ‘Luce’ di Silvia Luzi e Luca Bellino. E nella sezione Kids il folle ‘I fratelli Dinamite’ di Nino Pagot

11 agosto 2024
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Due diverse solitudini si sono presentate nella seconda giornata di Concorso: quella di un uomo che dopo aver viaggiato per il mondo si è fermato in una casa sperduta in una vasta foresta delle Highlands scozzesi, e quella di una ragazza che cerca suo padre tra le disastrate strade dell’avellinese.

Un cinema di libertà

Il primo, il vecchio Jake Williams, è realmente un eremita scozzese che vive da quarant’anni nel suo cottage appartato. Il regista Ben Rivers lo conosce da anni e ha girato già molto materiale su lui prima di dedicargli ‘Bogancloch’ che è il nome che ha dato al posto dove vive, guardando e vivendo le stagioni che passano, ritrovando le sparse radici della sua vita attraverso le musiche incise su vecchi mangianastri. Insegna ai bambini di una vicina scuola la vita del cielo che sta sopra di loro, i movimenti del Sole, della Luna, dei pianeti, compresa la Terra, e delle Galassie, canta con gli amici che lo vanno a trovare antiche canzoni di vita e di morte nel dialetto locale. Si fa il bagno in una vecchia vasca all’aperto con l’acqua che raccoglie e che d’inverno scalda con il fuoco della legna, come fosse una pentola sul fornello.

Quello che ha di straordinario questo ‘Bogancloch’ è che, pur sembrandolo, non è un documentario, anche se Jake Williams non è un attore e non recita se stesso, il film lo usa per raccontare, per mettere in scena una ricca storia di immagini, dove vera attrice è la Natura, dove attore è il Cielo, dove coprotagonista è la casa, raccoglitrice di tante altre storie. Ben Rivers filtra tutto, si assume la responsabilità di regia e montaggio, usa l’amico come coro greco in un mondo che vive e suona. Le immagini sono spesso sporche come a imitare la Natura e non l’uomo che ne cerca la perfezione. Quello che resta nello spettatore è l’essere stato protagonista di un magico evento, lontano dal cinema impacchettato, un cinema di libertà.

Una ragazza, una voce

Non così per l’italiano ‘Luce’ di Silvia Luzi e Luca Bellino che racconta la storia della ragazza sola e del padre. L’idea è avere due protagonisti, uno che vediamo – la ragazza (l’attrice Marianna Fontana) – e una voce che sentiamo al telefono parlare con lei (l’attore Tommaso Ragno). L’azione comincia con la ragazza che, con l’aiuto di un fotografo, manda nel carcere dove il padre è rinchiuso un telefonino attraverso un drone. La ragazza, che faticosamente lavora in una fabbrica dove si conciano le pelli (l’attrice per prepararsi ha passato due mesi a fare questo lavoro), comincerà a ricevere delle telefonate da un uomo che dice di essere suo padre. Lei non sa se è vero ma ci crede ed è l’unica illusione che ha in una vita segnata dal lavoro e poco altro.

L’uso di primi piani quasi costanti è una scelta immersiva che Luzi e Bellino hanno utilizzato anche per il film precedente, ‘Il cratere’, presentato a Venezia e poi vincitore del premio speciale della giuria a Tokyo. E qui è diventata una tecnica distintiva che può offrire soddisfazioni e nello stesso tempo togliere peso alla narrazione sempre costretta in un canone fisso. Resta poi un fatto che riguarda invece il tempo che il film dedica al lavoro, e qui bestemmierebbe il buon John Ford che spiegava come lo “sporco” identifica il lavoro. Qui non c’è sporco: il film è troppo pulito, non regala il peso di lavorare i pellami, una delle lavorazioni più inquinanti. Un film nato pensando un po’ a ‘La voce umana’ di Cocteau e finito nel deserto umano di un’Irpinia senza luce.

Per fortuna siamo riusciti a rivedere uno straordinario film italiano nella sezione Kids: ‘I fratelli Dinamite’ di Nino Pagot (1949), il primo lungometraggio animato italiano. Una follia omaggio ai fratelli Marx e ai loro non sensi. Un vero spettacolo, un film indimenticabile. Anche questo si vede a Locarno.