A parte Rila Fukushima, la Yukio di ‘The Wolverine’, ‘Electric Child’ di Simon Jaquemet non aveva meriti per essere sotto le stelle
Di giorno basta camminare in Piazza Grande per accorgersi, al di là delle file di seggiole ammucchiate, dei vari banchetti che offrono polenta e delizie indiane, degli accampamenti improvvisati di tanti accreditati che rispondono ai prezzi delle pizze e dei piatti unici assalendo i supermercati dove per poco più di due franchi si mangiano una bella insalata. Ebbene, ci si accorge evidentemente del grande schermo che fa da terza parete sfidando i palazzi che gli fanno da corona. Un enorme schermo, ogni sera desideroso di illuminarsi con opere capaci di aiutare il pubblico a scoprire il grande Cinema, non solo pellicole viste in grande. Purtroppo anche ieri sera il film che ha aperto la serata in Piazza, ‘Electric Child’ di Simon Jaquemet, non aveva meriti per esserci, a parte la straordinaria partecipazione, in uno dei due ruoli fondamentali del film, di Rila Fukushima, modella e attrice giapponese nota nel mondo per il suo ruolo di Yukio nel cult film ‘The Wolverine’ di James Mangold.
Qui la scopriamo nella parte di Akiko neo madre felice, accompagnata nella gioia dal marito Sonny (un inespressivo Elliott Crosset Hove), un noto scienziato impegnato in esperimenti sull’intelligenza artificiale. La loro felicità si trasforma presto in un disperato panico alla notizia che il loro bambino non potrà raggiungere nemmeno il primo anno di vita per una rara forma virale inguaribile, con un lumicino di possibile miracolo al 4 per cento. Lei è tragicamente distrutta e l’attrice ci regala scene memorabili di materno dolore; lui invece chiede alle macchine, ai suoi enormi computer che si occupano di scoprire gli usi, anche militari, dell’Intelligenza artificiale, di trovare una soluzione miracolosa per il figlio. È già riuscito a dar vita a un essere androgino pensante ed emotivamente evoluto (un’interessante Sandra Guldberg Kampp) che vive in una foresta che si affaccia sull’oceano. La sua impresa risulta disperata soprattutto perché non riesce ad accelerare i piani per arrivare a trovare una soluzione del suo bambino. Nella sua follia di padre e scienziato disperato riesce a distruggere tutti i computer senza poter salvare il figlio. Il bambino muore tra le braccia della madre, ma in un finale mistico e messianico l’androgino riesce a portare nel suo mondo il bambino, e qui vivrà e crescerà in attesa dell’arrivo in quel mondo dei suoi genitori.
Tanto fumo per poco arrosto, il film fatica a decollare, anzi resta fermo in un suolo che scientificamente a due anni dalla sua produzione è cambiato in modo considerevole, facendo sembrare antiquariato il detto del regista sceneggiatore, riuscito nella speciale missione di svilire le emozioni che erano nell’idea del progetto, la storia di una famiglia disperata per il figlio destinato a morire. Sulla Piazza poi è passato lo straordinario ‘Une femme est une femme’ di Jean-Luc Godard con un cast mirabile: Anna Karina, Jean-Paul Belmondo, Jean-Claude Brialy. Irraggiungibile. I Cahiers du cinéma scrissero a firma André S. Labarthe: “‘Une femme est une femme’ è uno dei più bei documentari che io conosca dedicati a una donna, […] una tappa importante del cinema moderno. È il cinema allo stato puro”. E a noi, ripensando al film passato poco prima, non resta che sottoscrivere.