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‘Salve Maria’ e un’idea dimenticata

È un vecchio tentativo di Marco Müller quello di portare un po' di Concorso in Piazza Grande. A ogni modo, da un'altra parte, abbiamo visto due film

Laura Weissmahr, ‘Salve Maria’
(Poi Rebaque)
9 agosto 2024
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Un tempo dire ‘Concorso’ significava parlare dei film più importanti del Festival, poi i Festival si sono allargati, hanno espresso nuove sezioni, che sono diventate altri Concorsi, e poi hanno le proiezioni speciali, e poi il fuori Concorso con altri film di interesse ancora. Allora oggi che cos’è il Concorso? A Cannes resta la raccolta dei film migliori, e a Locarno? A Locarno c’è un’altra scelta di film: a Cannes i film presentati escono per oltre il 90 per cento nelle sale di tutto il mondo, qui un po’ meno; qui il direttore si prende la responsabilità di far funzionare un Concorso che non ha i grandi nomi, ma è obbligato a presentare cinema che pulsa, che emoziona, che fa Festival.

Intrattenibile follia

È chiaro, a Cannes alle proiezioni stampa partecipano migliaia e migliaia di giornalisti, qui il Concorso non va in Piazza Grande. Anni fa Marco Müller, indimenticato direttore artistico, aveva provato a portare dei film in Concorso in Piazza, poi tutto si è dimenticato, nell’idea che in Piazza Grande vadano altri film, quasi fossero dei pacchi indigeribili. Così primo film in Concorso per questo 2024 sulle rive del Lemano è stato ‘Salve Maria’ della regista catalana Mar Coll, un titolo che avrebbe fatto la gioia del presidentissimo Raimondo Rezzonico che ogni inizio Festival si recava alla Madonna del Sasso per una preghiera, un piccolo voto perché la Signora proteggesse il Festival. Ma la Maria del titolo non gode dell’annuncio di un Angelo Divino, anzi vive tragicamente la sua maternità già realizzata. Il neonato Eric neppure può supporre che razza di madre l’abbia messo al mondo. Lei è una giovane scrittrice che già assaggia il piacere di essere un po’ famosa almeno nella sua Barcellona, e che ora non regge la depressione post-partum. Di più: cade in un disturbo ossessivo compulsivo quando scopre la notizia di una madre che ha ucciso i suoi due piccoli. Segue la notizia alla tv e su internet, compra e ritaglia i giornali che ne parlano; pensa di dover fare lo stesso con suo figlio. Il marito è un buon uomo che non si accorge di nulla, ama sua moglie è felice del loro bimbo, ma in lei è ormai partita l’intrattenibile follia: vuole incontrare l’assassina, convince lui a partire con il bambino per una vacanza rigenerante al mare; in realtà consegna il bambino a un asilo privato e corre alla ricerca dell’assassina. La vicenda è avvincente, drammaticamente segnata dai pianti esasperanti del bambino che fanno da tic tac dell’orologio della follia della donna. Lei andrà sulla montagna dove l’altra si è rifugiata, scriverà brani di un altro romanzo, non risponderà a quelli dell’asilo che le comunicano che il bambino sta male e deve essere portato in ospedale e neppure al marito, finalmente cosciente del suo dramma. Un film duro e carico di emozioni, sincero sulla pelle di una donna, un film che canta cinema e vita. E straordinaria è l’interpretazione straniata come dev’essere, in una recita senza sconti, della protagonista Laura Weissmahr. Ma in questo bel film tutto il cast risulta equilibrato e nulla è fuori posto.

‘La Mort viendra’

Non ha convinto invece il pur interessante secondo film in Concorso, ‘La Mort viendra’, thriller firmato da Christoph Hochhäusler, una storia di gangster ambientata in una grigia e inanimata Bruxelles dove una guerra di bande ha luogo senza che la città la viva. Guardandolo, ritornano in mente tanti film di genere di cui le piattaforme sono piene, mentre l’azione che descrivono è molto più viva: qui i tempi sono smorzati, quasi per dare alle figure dei protagonisti un rilievo maggiore, quasi a volerli far respirare un po’ di Shakespeare. Il gioco è ambizioso ma non riuscito per il troppo intricarsi della trama, il troppo perdersi in vicoli dispersivi, il non essere sul pezzo alla Simenon. Tutto frulla e allora ti accorgi che più che film sono lacerti di tanti film e l’originalità va a sparire. Pericolosa appare qualche traccia di noia. Poteva essere migliore, l’idea non era male. Sophie Verbeeck è credibile come killer a comando, ma fa sorridere quando il regista insiste su lei con lesbismo e un certo sadomasochismo nei confronti di una strana signora cieca che tutto guida. Particolari sì, ma un film è fatto anche da particolari.