Prime impressioni di un'edizione che, nonostante qualche criticità, si è dimostrata solida e ben riuscita. Anche in Piazza Grande
È finita. Chi ha trascorso a Locarno le ultime due settimane seguendo proiezioni, conferenze stampa, incontri, interviste, cerimonie e ovviamente anche i “networking event” – nome chic e giustificazionista delle feste –, si sente un po’ come gli ostaggi di quel grandioso film di Sidney Lumet che è ‘Quel pomeriggio di un giorno da cani’ con Al Pacino e John Cazale, finendo non solo per solidarizzare con i due rapinatori antieroi Sonny e Sal, ma anche per acclamarli come fa la folla fuori dalla banca, con tanto di improvvisati striscioni.
Ma poi, appunto, si viene liberati, l’eccitazione lascia spazio alla riflessione e ai bilanci, con tutti i chiaroscuri del caso – e l’amarezza per la triste coincidenza che vede la chiusura della 77ª edizione del Locarno Film Festival accompagnarsi alla morte di un divo del cinema come ce ne sono stati pochi, Alain Delon che una decina di anni fa venne accolto in Piazza Grande per ricevere il Lifetime Achievement Award.
La giuria del Concorso internazionale ha premiato un’opera prima, ‘Akiplėša’ (Toxic) della giovane regista lituana Saulė Bliuvaitė, confermando che quello del “Festival luogo di scoperta di nuovi talenti” non è solo uno slogan. Certo, poi bisogna anche fare in modo che questi talenti, una volta affermati, restino legati a Locarno, ma questo è un altro discorso. Il palmarès della giuria ufficiale, e non può che essere così, ha vistose assenze, film che hanno lasciato il segno nel pubblico e nella critica senza tuttavia ottenere riconoscimenti, se non qualche premio collaterale; ma è appunto inevitabile, il compito di giurate e giurati è fare delle scelte e il fatto che quelle scelte siano criticabili in fondo conferma la solidità di una selezione varia e mediamente di buon livello.
E varia e di buon livello, seppur con inevitabili oscillazioni, è stata anche la programmazione di Piazza Grande, con anche un paio di commedie nonostante ci sia sempre chi si lamenta che “in Piazza non si ride”. Lo confermano sia la presenza delle due produzioni selezionate dall’Ufficio federale della cultura per l’Oscar al miglior film internazionale (‘Reinas’ di Klaudia Reynicke e ‘Le procès du chien’ di Laetitia Dosch), sia l’aumento di presenze: 1’500 in più rispetto all’anno scorso, quando in programma c’erano tra gli altri Ken Loach e l’acclamato ‘Anatomie d’une chute’ di Justine Triet. Quell’anno, in Piazza, c’era anche una commedia musicale americana, peraltro una produzione indipendente per quanto distribuita dalla Disney: la mancanza di ‘blockbuster’ hollywoodiani, che troviamo invece in altri festival tra cui quello di Zurigo, è certamente un tema sul quale si dovrà riflettere. Questa edizione sembra mostrare che Locarno e Piazza Grande possono farne a meno senza perdere in qualità e popolarità; rimane il fatto che rischia di non essere una scelta artistica ma la semplice accettazione del fatto che le grandi case di produzione e distribuzione considerano sempre più agosto un ‘dump month’, un periodo in cui non val la pena far uscire film di cassetta, figuriamoci portarli in un festival.
Tra il Fevi, sala del Concorso, e Piazza Grande c’è la Rotonda che sta diventando uno spazio schizofrenico. Sorta di “terra di nessuno” di giorno – se la si attraversa per andare alle prime proiezioni del mattino si ha l’impressione di ritrovarsi in un film post apocalittico –, la sera è al contrario vittima del proprio successo, tanto che verrebbe da citare uno degli involontari aforismi di Yogi Berra: “Non ci va più nessuno: è troppo affollato”.