Ben confezionato, anche i più cinici applaudono. Ma a noi, in ‘The old oak’, il cagnetto accoppato proprio non va giù
La serata è di quelle da fazzoletti di carta bio. Il martedì di Locarno è all’insegna della lacrima open doors. Lo si respira già dalle diciotto, perché anche quelli che da anni schifano i film zuccherati della piazza vogliono esserci per le parole e per l’ultimo lavoro del regista inglese portabandiera dell’indissolubilità tra etica ed estetica. E infatti le immagini che scorrono sullo schermo per omaggiare Ken Loach sono forti, hanno il colore della fatica di stare al mondo, l’odore acre delle classi sprivilegiate, mostrano il vicolo cieco e sporco di un’Inghilterra periferica e disillusa. Perché il capitalismo è come il Covid, non si ferma alle frontiere, aggredisce, diffonde l’ingiustizia sociale. Il terzo mondo è qui e ovunque, nei paesi da cui si fugge ma anche in quelli nei quali la speranza ha il gusto e la durata di una pinta di birra a temperatura ambiente.
Tutto è ottimamente confezionato. Dopo Loach arrivano i responsabili di Open Doors, si sente la vitalità di un cinema che ha i denti e non il pane e che grazie a Locarno e alle politiche federali può affacciarsi al mondo.
Anche i più cinici applaudono, già predisposti alla commozione, a un rito di partecipazione che come un sole notturno nasce a Locarno e chissà fino a dove si può spingere.
‘The old oak’ (la vecchia quercia) è un film che parla di integrazione e di miseria. Quando un torpedone di profughi siriani approda nel quartiere povero di una città immiserita dalla chiusura della miniera, si scatenano i migliori e i peggiori umori. Ma invece di usare la macchina da presa per indagare l’umanità sotto pressione, Loach, questa volta, imbocca una via ibrida, intrisa di manicheismo e di buoni sentimenti. Ne risulta un film che vorrebbe essere ma non può. Una favola realistica che non convince. I personaggi sono divisi in buoni e cattivi, i dialoghi sono piccole tesi di laurea messe in bocca a madri terese e gesù cristi che ridono, piangono e sperano con l’autenticità di una marionetta. Sono così perfetti che quasi viene voglia di parteggiare per i brutti, quelli che si ribellano e sbagliano, fanno il male perché stanno male.
‘The old oak’ mira a farci credere che il populismo possa funzionare anche a sinistra. È sufficiente uccidere un cagnetto, toccare la pancia degli spettatori, per dare una scossa alle coscienze individuali. Ma non è così. La fiaba di Ken Loach non evolve, non riesce a farsi utopia. E mentre nella scena finale gli ultimi si uniscono gioiosi per lottare, si fa potente la sensazione che le ricette semplici non dovrebbero esistere né a destra né a sinistra. Invece di spalancare, chiudono le porte, serrano le lacrime, rendono inutili i pacchetti di fazzoletti bio.