Praticamente, una storia d'amore (primo agosto in Rotonda con gli originali fratelli del blues capitanati da Blue Lou Marini)
Ai piedi del palco c’è l’auto di Erwin Siesling, ingegnere al Cern di Ginevra che un giorno decise che si sarebbe comprato una Bluesmobile (è una replica, l’ha assemblata un meccanico di Cincinnati, perché dal film non ne sono rimaste); ci sono un paio di poliziotti, un campione dei cinquecento agenti (fonte: Dan Aykroyd) che compaiono nella scena finale del film (duecento dei quali sono veri agenti); ci sono l’inquietante suora, Sister Mary Stigmata detta anche ‘la pinguina’, e un paio di Jake ed Elwood che si mischiano con i molti altri fratelli del blues sparsi per la Rotonda by la Mobiliare. Tutti, anche loro, aspettano i revivalisti del soul, revivalisti da ‘revival’, soul da ‘anima’, ma anche “la più grande band di dopolavoristi”, dopolavoristi da “ognuno ha la sua band, le sue grandi collaborazioni, io per esempio suono con James Taylor”, dice il sassofonista e band leader ‘Blue Lou’ Marini, che nei Blues Brothers c’è dal 1978 e dunque da sempre, almeno insieme a Tom ‘Bones’ Malone, trombonista anche nel nome, pure lui sul palco. Il primo ha suonato con Zappa (Frank), il secondo con Miles (Davis). E il dopolavorismo è spiegato.
Dall’allocuzione di Marco Solari alla ribattezzata ‘Going back to Locarno’, che poi sarebbe ‘Going back to Miami’ (su ‘Made in America’, l’album che seguì il clamore del film), non è proprio un attimo, ma è il Natale della Patria e i Blues Brothers sono una ricorrenza anche se la ricorrenza non c’è. Anzi, la ricorrenza c’è ed è “quella magica arte chiamata cinema”, come direbbe Ugo Brusaporco. Ed è vero che gli attori sono in gran parte diversi, e che nessuna leggenda vuole che John Belushi, morto due anni dopo il film, si nasconda in una pompa di benzina nel Sud degli Stati Uniti, ma gli originali sono sempre meglio della cover band, quando si tratta di riportare in vita la saga (anche quando su ‘Flip, Flop and Fly’ qualcuno va a farfalle).
A proposito di riportare in vita: sul palco di Locarno aleggia, in primis, lo spirito del Saturday Night Live, incarnato da Leon Pendarvis all’Hammond, per trent’anni a capo della band dello show televisivo che partorì il film. Altri spiriti: “Se Cab Calloway fosse qui”, dice Tommy ‘Pipes’ McDonnell (voce e armonica, che potrebbe essere Jake, ma ha una vaga somiglianza col John Goodman di ‘Blues Brothers 2000’, il sequel), avrebbe cantato ‘Minnie the Moocher’, e il frac bianco di Calloway si materializza addosso a Bobby ‘Sweet Soul’ Harden, l’altro fratello del blues. Dice ancora Pipes: “Se Eddie Floyd fosse qui”, il Floyd stella della Stax, storica etichetta di Memphis, avrebbe cantato ‘Knock On Wood’.
Il momento topico della Original Blues Brothers Band è stato ‘Sweet Home Chicago’, ma topici sono stati anche i momenti di ‘Messing With The Kid’, ‘Shot Gun Blues’, ‘(I Got Everything I Need) Almost’ e, naturalmente, ‘Soul Man’, dal disco d’esordio ‘Briefcase Full Of Blues’. E visto che “il segreto dei Blues Brothers è l’amore”, giura Marini, su ‘Everybody Needs Somebody To Love’ l’amore trionfa sempre: sul palco salgono i poliziotti, l’altro paio di Jake ed Elwood danzanti, la tour manager con la borsetta e Sister Mary Stigmata, che nel film non brilla per avvenenza e invece a Locarno mostra un rispettoso stacco di coscia, unico falso storico di una affettuosa e veritiera celebrazione del buon umore, della buona commedia e della buona, buonissima musica dell’anima.
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Tommy ‘Pipes’ McDonnell
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The Original Blues Brothers Band
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