Il martoriato Libano in ‘Hikayat elbeit elorjowani’, l’epifania cinematografica del regista franco-iracheno-libanese
Si è aspettato l’ultimo giorno di concorso per ricordare la non casualità di avere in competizione un film terribilmente d’attualità storica come ‘Skazka’ di Alexander Sokurov, ed ecco che – senza scavare a inaudite profondità, ma restando nella flebile superficie – ‘Hikayat elbeit elorjowani’ (Favole dalla casa viola) del cineasta franco-iracheno-libanese Abbas Fahdel riesce a creare leggibili solchi di un’ignorata, colpevolmente, storia del nostro tempo. Sfocate immagini ci raccontano ancora di quello che era il Libano. Qualcuno ricorda come fosse chiamato, e non ironicamente, la Svizzera del Medio Oriente. Qualcuno forse si ricorda ancora di Felice Riva, quello che ottenne la prima Coppa Campioni del Milan, conquistata a Wembley contro il Benfica di Eusébio; quello che dopo un crack finanziario (non aveva mai lavorato ma disponeva di grandi patrimoni familiari) finì in quel Libano dal sapore svizzero per fuggirne nel 1982, anno dello scoppio della guerra del Libano, una guerra che toglierà al Paese lo status di altra Svizzera per consegnarlo a una storia di sangue. Del Felice Riva scrivono le cronache, ma da quel Libano tradito da voraci faccendieri e facili banchieri nasce quell’oggi segnato dal tragico rapporto con Israele, dall’invasione dei profughi siriani, dall’esplosione incredibilmente drammatica al porto il 4 agosto 2020, e da barbare situazioni mondiali come il Covid e le recenti guerre europee.
Subito, il film di Abbas Fahdel, con le sue tre ore e poco più, ha sconvolto quelli abituati a riposarsi con serie televisive d’innominabile durata temporale; perché quelle hanno azione, si dice, e questo film secondo molti non ne ha. Eppure si resta sconvolti di fronte a un gatto, e non è Silvestro, della Looney Tunes e Merrie Melodies, che si mangia un uccellino, o quello che divora una lucertola, o quello che aspetta l’intervento di un bambino per addentare una vipera velenosa. E tanti sono i gatti nella casa in cui il regista vive insieme alla compagna, l’artista libanese Nour Ballouk, che del film è eletta protagonista nonostante il suo primo desiderio di non apparire. Il film nasce infatti da un isolamento, quello dovuto alla pandemia di Covid, che in Libano è costato un anno d’isolamento per l’intera nazione. E in quest’anno, isolati nella loro "casa viola" nel Libano del Sud, Abbas Fahdel e sua moglie Nour Ballouk vanno alla scoperta di quel Libano che amano e sentono finalmente Patria.
Il film è ricco d’importanti lacerti cinematografici che raccontano il cammino di conoscenza dei due coniugi, e tra il Tarkovskij di ‘Stalker‘ e l’Antonioni di ‘Deserto rosso‘ brilla un capolavoro ignorato come ‘El sol del membrillo’ di Víctor Erice premiato a Cannes, un film che "per molti continua a rappresentare una delle frontiere di un cinema possibile, anche se raramente esplorato: un cinema in nessun modo estraneo alla realtà, anzi a essa saldamente ancorato – anche se per addentrarvisi e trascenderla, senza limitarsi alla sua mera apparenza – e nello stesso tempo libero e imprevedibile, lontano da convenzioni e percorsi prestabiliti", come scrive Miguel Marías nell’Enciclopedia del Cinema (2004), pellicola che Abbas Fahdel ha visto diverse volte per convincersi della possibilità di fare un film "estraneo alla realtà, anzi a essa saldamente ancorato".
Ci troviamo così di fronte a un’epifania cinematografica in un territorio martoriato che come martire si esalta del suo martirio, attraverso la visione, non afona politicamente, di un regista che già aveva raccontato l’Iraq da cui veniva, Paese pieno d’identità prima di essere distrutto illegalmente. Qui vive sul confine con Israele, sente gli aerei israeliani solcare i cieli del Libano e bombardare la sua casa; sua moglie con la casa ha perso, insieme a vite umane e animali, otto anni di produzione artistica. Una misura che mai viene contata nei resoconti di guerra. Ma cosa centra la guerra con la bellezza, torniamo a Dostoevskij e a chiederci se davvero la bellezza salverà il mondo. Abbas Fahdel ne è convinto, è per questo che ancora vive nel Libano del Sud sul confine con Israele e accetta il pericolo di vedere la sua casa distrutta, e di morire sotto una bomba invece di ritornare a Parigi, dove potrebbe vivere, rinunciando agli immensi panorami del suo paese. E lontano si vedono le barche fenice salpare a conquistare quel Mediterraneo che tutti abbiamo perso.
Abbas Fahdel