Eric Clapton, ‘The Lady in the Balcony’ - ★★★★✩ - Alla maniera di ‘Unplugged’, da Muddy Waters ai Fleetwood Mac, da ‘Layla’ a Conor, complottismi inclusi
Il disco si chiama ‘The Lady in the Balcony’, dove the lady è Melia McEnery, l’unica oltre lo staff tecnico ad assistere alle registrazioni, oltre che moglie di Eric Clapton. Coloro che vi suonano fanno 295 anni in quattro: il 76enne Steve Gadd, la Storia della batteria illustrata; il 66enne Nathan East, tra i bassisti più registrati di sempre; il 77enne Chris Stainton pianoforte e tastiere, giunto sino a noi dall’antieconomico ma iconico Mad Dogs & Englishmen tour di Joe Cocker, poi nei dischi di Clapton da ‘Just One Night’ (1980) in avanti. E il 76enne Eric Clapton, titolare dell’opera (con gradito dvd annesso), più volte in odor di ritiro per acciacchi vari, signore del blues vaccinatosi e poi lanciatosi in una campagna no-lockdown insieme al collega Van Morrison prima, in paio di singoli in cui si compara l’isolamento sanitario con la schiavitù (‘Stand and Deliver’, ‘The Rebels’) e poi, da solo, nel recente ‘This Has Gotta Stop’, una cosa tanto estrema (“Vuoi essere un uomo libero o vuoi essere uno schiavo? Vuoi indossare queste catene fin nella tomba?”) da convincere il bluesman Robert Cray, devoto dichiarato di Clapton, a non aprirgli i concerti del tour.
“Cosa è successo a Eric Clapton?”, si chiede a questo proposito il Washington Post, che tempo fa pose la domanda a Cray e ad altri amici di Slowhand ottenendo mezze risposte e mezzo imbarazzo da inserirsi nel generale no comment dell’artista. Tutto arriva dalla dose di AstraZeneca che a Clapton ha reso “mani e piedi congelati, intorpiditi o brucianti”, come da lettera all’amico architetto anti-lockdown, effetti collaterali di un bluesman che percorre “la strada della ribellione passiva” e che per questo ritiene “difficile mordermi la lingua con quello che ora so”; effetti collaterali che non sono quelli contemplati dal vaccino della multinazionale anglo-svedese ma tant’è. Quanto a ‘This Has Gotta Stop’, quanto a schiavitù, qualcuno ha visto bene di riesumare dichiarazioni di un giovane Clapton che durante un concerto a Birmingham, era il 1976, elogiò Enoch Powell, politico britannico anti-immigrazione, asserendo che la Gran Bretagna stesse diventando “sovraffollata” col serio rischio di diventare “una colonia dei neri”. Con tanto, si ricorda, di slogan ‘Keep Britain White’. “Ero un drogato”, si era poi giustificato il chitarrista, producendosi in una sorta di “ho tanti amici afroamericani”, cosa che per altro corrisponde a verità.
(Play) “Nel febbraio del 2021, i concerti dal vivo di Eric Clapton alla Royal Albert Hall sono cancellati a causa della pandemia. Determinato a suonare, porta la sua band nella campagna inglese in assenza di pubblico e decide di registrare la performance. Questo film è il culmine di quelle session”. Centodieci acri di parco e giardini circostanti, la vittoriana Cowdray House nel Cowdray Park del West Sussex, luogo di matrimoni, ospita le session di ‘The Lady in the Balcony’, complete di un allestimento di tende alle pareti e tappeti per terra sulle note di ‘Nobody Knows You When You’re Down and Out’, standard del pianista Jimmy Cox che è un primo, iniziale ponte tra questo live acustico e ‘Unplugged’, disco e video tratti dall’Mtv Unplugged del 1992, tre Grammy e opera più venduta del chitarrista (più di ‘Slowhand’ con dentro ‘Cocaine’). Non è un caso se a curare il tutto c’è Russ Titelman, produttore di ‘Unplugged’, del precedente splendido ‘Journeyman’ e del successivo ‘From The Cradle’, altro Grammy in ambiti puramente blues.
La setlist di ‘The Lady in the Balcony’ è un insieme di brani firmati Clapton e tributi al blues, nella costante alternanza di sempre. Dalla ripulita ‘River of tears’ (su ‘Pilgrim’, 1998, dal quale arriva anche ‘Goin’ Down Slow’), retta da un basso che arpeggia chitarristicamente, a ‘River Of Tears’ (da ‘Backless’, 1978), da ‘Believe In Life’ su ‘Reptile’ (2001), dedicata alla moglie, allo strumentale ‘Kerry’, dedicata a Kerry Lewis, suo mixerista di palco deceduto in gennaio; fino all’eterna ‘Bell Bottom Blues’ sull’album ‘Layla and Other Assorted Songs’ (1970), il Clapton di Derek and the Dominos, capitolo dell’amore non corrisposto per Pattie Boyd, moglie di George Harrison. Un paio di omaggi – ‘Black Magic Woman’, classico di Santana scritto da Peter Green dei Fleetwood Mac (“Questa è per te, Pete”, annuncia Clapton), e altri Fleetwood, quelli di ‘Man Of The World’ – e poi il blues col Muddy Waters che rese famose ‘Rock Me Baby’ e ‘Got My Mojo Working’ e che scrisse ‘Long Distance Call’. E poi ‘Layla’, come già rivoluzionata in ‘Unplugged’, e un altro classico, ‘After Midnight’, dal primo album del 1970.
Col rischio di ricadere in statement definitivi come “in quel posto fanno la pizza migliore del mondo”, di ‘Tears in Heaven’, ‘The Lady in the Balcony’ contiene una delle più belle versioni mai ascoltate da quando Eric Clapton, con in mano un solo verso – “Would you know my name if I saw you in heaven?’ – si rivolse a Will Jennings per portare a termine l’abbozzo di un ricordo del piccolo Conor che cadde da una finestra di un appartamento al 53esimo piano di un grattacielo di New York. Conor Clapton che oggi avrebbe trent’anni, come la sua canzone.