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Ricordando John Mayall, the Blues crusader

Era ‘Il Padrino del british blues’, ma lo si potrebbe pure chiamare ‘chioccia’, per quel ruolo da talent scout che fece brillare Clapton e altre stelle

È morto lo scorso 22 luglio in California. Nella foto, a Montreux nel 1986
(Keystone)
24 luglio 2024
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“Entrai nei Bluesbreakers nell’aprile del 1965 e andai a vivere con John nella sua casa di Lee Green (quartiere di Londra, ndr), assieme alla moglie Pamela e ai loro figli. John, che aveva dodici anni più di me, i capelli lunghi e la barba, che lo facevano somigliare un po’ a Gesù, aveva un’aria da buon preside”. Questo si legge in ‘Clapton: the autobiography’, l’autobiografia di Slohwand che a John Mayall, pioniere del blues britannico morto lo scorso 22 luglio in California all’età di novant’anni, dedica un corposo capitolo.

Il Clapton del 1965 è il chitarrista del momento che ha appena lasciato il posto negli Yarbirds a Jeff Beck (il futuro Led Zeppelin Jimmy Page non vuole rovinare l’amicizia e si defila). Il Clapton del 1965 è soprattutto il purista del blues spaventato da una presunta deriva ‘commerciale’ della band e deluso per quelle che a lui paiono potenzialità gettate al vento. Vaga, perso, in cerca di una nuova collocazione. È l’allora fidanzata June a presentargli il tastierista dei Rooster, Ben Palmer, colui che a sua volta ‘allunga’ il numero di telefono del giovane Eric a Mayall, bluesman meno in vista di altri ma dalla solida reputazione, quella di un musicista che “aveva trovato una propria nicchia e ci restava”, scrive Clapton nel libro. Al netto dell’accresciuta popolarità successiva, e del culto personale, per Mayall così è stato, fino alla fine.


Keystone
A Montreux nel 2008

Guerra, grafica e guitar

Nel 1965 John Mayall, che non beve e mangia bio, si divide tra musica, pubblicità e l’illustrazione di libri di fantascienza, avendo studiato grafica (che utilizzerà anche nelle copertine dei suoi album). Classe 1933, figlio di Murray Mayall, bluesman da club e dalla nutrita collezione di vinili jazz e blues, il futuro ‘Godfather del british blues’ compra la sua prima chitarra da militare, durante un soggiorno in Giappone mentre serve la patria in Corea. Devoto di Lead Belly, Albert Ammonds ed Eddie Lang, Mayall è autodidatta tanto per la sei corde che per il pianoforte e l’armonica a bocca. Nel 1963 scende dalla casa sull’albero nella quale ha vissuto fino ai trent’anni, visto il poco spazio della casa paterna, per diventare professionista: è la vigilia della British Invasion che l’anno successivo consacrerà gli Stones, i Kinks e gli Animals, sdoganati insieme ad altri ‘invasori’ dall’apparizione dei Beatles all’Ed Sullivan Show.

Dopo i Powerhouse Four, nel 1956, e i Blues Syndacate, nel 1962, Mayall fonda i suoi Bluebreakers, che nel 1963, dal Marquee Club di Londra (con al basso John McVie, futuro Fleetwood Mac) arrivano a far da spalla a John Lee Hooker. La Decca li mette per breve tempo sotto contratto per ‘Crocodile Walk’, singolo e relativo album live dallo scarso riscontro, riprendendoseli nel 1966 per ‘Blues Breaker with Eric Clapton’, disco all’insegna del Chicago blues e al tempo stesso esordio come cantante solista di Clapton che in ‘Ramblin’ On My Mind’ si produce in uno dei suoi tributi a Robert Johnson. Ma all’oscuro di Mayall, che dalla critica britannica deve ingoiare l’idea che il disco della sua consacrazione si debba alla presenza di Clapton, Slowhand è già promesso sposo ai Cream di Jack Bruce e Ginger Baker. Al suo posto arriverà Peter Green, altro futuro Fleetwood Mac, per un vai e vieni da e per i Bluebreakers che sa di ‘collettivo’. Dopo Green sarà la volta di Mick Taylor, che nel 1969 sostituirà il defunto Brian Jones nei Rolling Stones dopo una manciata di album da Top 10: l’ultimo della serie, ‘Bare Wires’ (1968), chiude temporaneamente l’era John Mayall’s Bluesbreakers, nome usato dal 1963 al 1970 e riproposto nel 1985 per ‘Return of the Bluesbreakers’, con gli originari McVie e Colin Allen, featuring Taylor. Nella lunga parentesi non Bluesbreakers, oltre a mettersi in salvo dall’incendio della propria casa (anno 1979, il musicista perde 25 anni di diari personali e una preziosa collezione di pornografia vintage), Mayall porta avanti la missione di diffondere il black blues, ma aprendo a momenti acustici (‘Back To the Roots’, 1971, album in cui ritrova Clapton) e altri di jazz e R&B. Discograficamente, i Novanta si distinguono per gli album ‘Wake Up Call’ (1993) e ‘Spinning Coin’ (1995).

Tra riunioni e dismissioni, molti dei Bluesbreakers convergono nel 2001 per i quarant’anni di carriera di Mayall – da cui il celebrativo ‘Along for the Ride’, con ospiti illustri (Chris Rea, Steve Cropper, Jeff Healey, Steve Miller) –, e nel 2003 per i suoi settant’anni, alla Liverpool Arena con Clapton e Taylor, da cui il dvd. L’ultima dismissione risale al 2008; l’ultimo album di Mayall è del 2022, ‘The Sun is Shining Down’.

Faro (fari)

Dal 2005 John Mayall è Ufficiale dell’Ordine dell’Impero britannico. La Rock and Roll Hall of Fame lo aveva voluto tra i suoi imprescindibili membri giusto quest’anno. Nel 2015 l’artista si era raccontato nell’autobiografia ‘The Blues Crusader’: “In un certo senso sono ancora un outsider”, dichiarava in quei giorni al magazine Blues Blast parlando della lunga lontananza dalle alte classifiche: “Mi diverto a suonare, situazione che può risultare invidiabile perché chi fa parte di band di grande successo a volte resta bloccato dalla fama e non può improvvisare ed esplorare”.

‘The Blues Crusader’ è la storia di un talent scout che ha aperto la strada a molte giovani stelle, alcune delle quali sono ora il faro che Mayall fu per loro. Una di queste, nelle ultime ore, lo ricorda così: “Voglio ringraziarti per avermi salvato dall’oblio quando a diciott’anni avrei voluto lasciare la musica”, dice l’oggi 79enne Eric Clapton, che apre e chiude il nostro ricordo. “John mi ha insegnato la tecnica, la voglia di suonare la musica che amo ascoltando le motivazioni interne, senza pressioni esterne. Gli devo la mia ricerca, fatta in casa sua, sul Chicago blues del quale era profondo conoscitore, e l’aver suonato con la sua band”. E ancora, con ironia british: “John è stato il mio mentore: io in cambio gli ho mostrato quanto divertente fosse bere, a lui che era un padre di famiglia. Mi mancherà, spero di incontrarlo dall’altra parte. Ci vediamo presto, ma ‘non adesso’, come si dice nel ‘Gladiatore’. Che Dio ti benedica, e grazie”.


Keystone
Monaco di Baviera, 1969

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