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Il ‘sugo’ di Manzoni e il postillato perduto

Pietro Montorfani ci racconta il ritrovamento, nella biblioteca di Palazzo Riva a Lugano, di un libro di agricoltura annotato dallo scrittore

Villa Manzoni a Brusuglio in una illustrazione di Cantagalli del 1885
17 luglio 2024
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Non è cosa di tutti i giorni, trovare in biblioteca un volume con le annotazioni autografe di Alessandro Manzoni. E se poi il libro annotato non riguarda la letteratura, come ci si potrebbe aspettare, bensì la coltivazione delle piante, il ritrovamento diventa anche curioso, aprendo spazi inattesi nella vita di quello che conosciamo come scrittore, non certo come botanico o naturalista.

Parliamo del ‘Corso di agricoltura di un Accademico Georgofilo’ pubblicato a inizio Ottocento dal sacerdote toscano Marco Lastri, letto da Manzoni nella tenuta di famiglia a Brusuglio, tra Monza e Milano, e arrivato a Lugano, nel fondo librario di Palazzo Riva, dove appunto è stato ritrovato alcuni mesi fa, e donato alla Biblioteca nazionale braidense di Milano.

Di questo particolare ritrovamento abbiamo parlato con Pietro Montorfani, responsabile della Biblioteca Salita dei Frati, direttamente coinvolta nel ritrovamento del postillato. «Il Centro di competenza per il libro antico, creato nel 2015 dalla allora direttrice della biblioteca Luciana Pedroia, non si occupa soltanto della catalogazione e conservazione delle biblioteche antiche dei conventi cappuccini – Orselina, Bigorio, e adesso Faido –, ma collabora anche con privati in possesso di biblioteche storiche, come è appunto il caso della Fondazione Palazzo Riva» ha spiegato Montorfani. Si tratta di un lavoro importante perché permette di tenere traccia dei libri antichi presenti nella Svizzera italiana e che, essendo appunto di proprietà di privati, non sono ancora presenti nei cataloghi online.

Cosa si intende di preciso con ‘libro antico’?

Si tratta di libri stampati a mano, con torchio tipografico e caratteri mobili, come ai tempi di Gutenberg. La definizione standard è variabile, ma lo spartiacque rispetto al libro “moderno” si attesta comunque all’inizio dell’Ottocento, anno più anno meno. Una data convenzionale potrebbe essere il 1830, quando furono inventate le prime copertine (prima di allora le rilegature erano personalizzate).

Questa la definizione internazionale, ma noi non siamo così severi e ci possiamo occupare anche di libri stampati a metà Ottocento nella Svizzera italiana, i cosiddetti “Ticinensia”: tecnicamente non sono volumi antichi, ma sono volumi importanti per la nostra storia.

Così siete entrati in contatto con i Riva.

Sì, la famiglia proprietaria di Palazzo Riva a Lugano, dove si trovava una bella biblioteca giuridica – i Riva sono una famiglia di notai e avvocati – che adesso è depositata presso l’Archivio storico della Città di Lugano a Castagnola. Abbiamo ricevuto un mandato di catalogazione e di studio di questa biblioteca e nell’ambito di questa ricerca è emerso il postillato con appunti autografi di Manzoni.

Come è stato identificato?

Abbiamo trovato, sul frontespizio, la scritta a matita “Postille autografe di Manzoni”. Ma questo ovviamente non basta, perché di indicazioni del genere ne ho viste parecchie, nel mio lavoro di ricerca, e si sono sempre rivelate delle bufale. Il fatto che un antenato della famiglia Riva abbia lasciato quella annotazione sul frontespizio, per noi è stato quindi solo un indizio, una pista da seguire.

Quali verifiche sono state fatte?

Una prima ipotesi da verificare era quella relativa alla grafia: non essendo un esperto di Μanzoni ho voluto chiedere a chi se ne intendeva: cito i nomi di Pierantonio Frare e Giulia Raboni, che collaborano a vari progetti dedicati ai manoscritti manzoniani. Visto il nostro postillato, non hanno avuto dubbi: era originale.

Poi bisogna prendere in considerazione il fatto che il volume Riva completa la serie del ‘Corso di agricoltura’ tuttora conservata a Brusuglio, nella biblioteca “di campagna” di Manzoni: il fatto che gli altri volumi di quell’opera, non annotati, fossero rimasti a Brusuglio ci fa capire che con ogni probabilità quel volume, annotato da Manzoni, fosse stato sottratto dopo la sua morte finendo nel giro del mercato antiquario che era ovviamente interessato solo a libri riconducibili a Manzoni (e quindi con la presenza di un “ex libris” o, appunto, di annotazioni autografe).

Si sa come il volume è arrivato da Brusuglio a Lugano?

La figura chiave, in questo caso, è stata quella di Carlo Fumagalli, discendente di una importante famiglia di Canobbio legata la mondo dell’industria tipografica. Fumagalli era un fenomenale collezionista di libri e possedeva quella che secondo me era, all’epoca, la più importante del Ticino. Possedeva una copia del ‘Polifilo’, l’Hypnerotomachia Poliphili, a torto o a ragione considerato il libro più bello del Rinascimento.

Alla morte precoce di Carlo Fumagalli, la sua famiglia si trova nella necessità di svendere tutta la sua biblioteca che viene messa all’asta a Roma. Quel volume con le annotazioni di Manzoni faceva parte della biblioteca di Fumagalli ma non viene messo all’asta e a un certo punto è stato verosimilmente donato ai Riva, notai della famiglia Fumagalli.

Non sappiamo perché il libro non sia stato venduto: forse per questioni affettive o forse perché non fu reputato di così grande valore. Dopotutto parliamo di un corso di agricoltura di un oscuro sacerdote toscano di fine Settecento: è il nome di Manzoni che dà un valore simbolico a quel volume.

Però è curioso, pensare a Manzoni che studia e annota un corso di agricoltura, tema lontano da quelli per cui lo ricordiamo oggi.

Non dobbiamo dimenticare che Manzoni era figlio dell’Illuminismo, discendente di Cesare Beccaria, quindi con un interesse e una predisposizione per un certo tipo di cultura per certi versi tecnico-scientifica. Ed ebbe la fortuna di ereditare da Carlo Imbonati, compagno della madre, la villa di campagna a Brusuglio, ritrovandosi a doverla gestire. Pare che come imprenditore se la cavasse abbastanza bene. I suoi esperimenti agricoli vertevano principalmente su due tipi di coltivazioni: il gelso, legato all’industria tessile e ai bachi da seta, molto in voga all’epoca, ma anche la vite, ambito nel quale Manzoni sperimentò molto, seppure con scarsi risultati. Del resto ancora oggi in provincia di Milano, a parte San Colombano al Lambro, non si producono vini.

Che tipo di annotazioni troviamo?

Manzoni ha sempre dimostrato un atteggiamento “agonistico” nei confronti dei testi che leggeva, e quello di Lastri non fa eccezione: ci sono molte battute ed esclamazioni. Ma vi usa anche la parola “sugo”, la stessa che ritroviamo nel finale dei ‘Promessi sposi’, quando parla di “sugo della storia”. Ho voluto quindi verificare ogni volta in cui Manzoni ha usato “sugo”, soprattutto nelle varie stesure del romanzo, la cui versione finale, la cosiddetta Quarantana, viene rivista proprio negli anni di lettura del postillato. In Manzoni “sugo” assume a volte il significato di senso, altre di valore, di sintesi o anche di gusto e di profitto. È insomma una parola versatile, adatta ad accogliere la metafora alla quale Manzoni affida il messaggio finale del romanzo (il “sugo della storia” appunto), e che potrebbe essere stata influenzata, chissà, dalla lettura di questo volume riscoperto poi nella biblioteca di Palazzo Riva.