‘La storia del Frank e della Nina’, narrata dal Gollum, è una rivelazione che nasce dalla libertà della regista Paola Randi
Tra le perle a Castellinaria che costituiscono ritratti d’adolescenza fedeli e innovativi, ‘La storia del Frank e della Nina’ (sezione Young), diretto e sceneggiato da Paola Randi, brilla per il suo approccio registico sensibile, fresco e variegato, per le ardite scelte sonore ma soprattutto visive. Tra bianco e nero, colore e giochi di colore selettivo, il protagonista Gollum cerca di farsi strada, assieme al suo compagno di vita Frank e alla brillante Nina, in quel labirinto infernale che è crescere nella Milano degli invisibili. Samuele Teneggi, uno dei giovani e bravissimi interpreti del film, ci ha raccontato la sua esperienza nel lavorare con la regista alla realizzazione di un film così fuori dagli schemi.
Che cosa vuole raccontare questa storia che orbita attorno alla comunità dei gitani?
Paola, per cui sono un po’ portavoce qui a Castellinaria, ha voluto ambientare questa storia nella sua Milano, atipica rispetto allo stereotipo che si ha nell’immaginario, quindi è anche un po’ una sua rivincita. Grazie a un film libero – è raro che una produzione dia questa libertà e questa fiducia – è riuscita a disegnare la sua città, quella che ha vissuto, più colorata di come la immaginiamo e che riscopre quartieri come San Siro, QT8 e l’Ortica. I gitani rappresentano un altro lato della sensibilità della regia, dedita a scardinare le false credenze; la nostra acting coach, Tatiana Lepore, ha ospitato per tanto tempo una ragazza cresciuta in un campo rom, diventata poi praticamente la sua figlioccia, quindi Paola ha scoperto tutto un lato della loro cultura e delle loro usanze, fuori dai soliti preconcetti e cliché, perché molti sono perfettamente integrati, vivono in normali appartamenti e magari, come la Nina nel film, non lo dicono, a causa di questo stigma sociale.
Quanto è stato difficile trovare lo spazio fra tre protagonisti, di cui uno anche narratore, molto particolare?
Essendo Frank un personaggio difficile, inizialmente mi flagellavo dopo ogni scena, invece mi è bastato avere fiducia in Paola. Lei si è fatta voler bene, ha attratto la nostra fiducia, quindi l’approccio con noi a livello tecnico-lavorativo è stato unico, una ricerca collettiva, anche di proposte improvvisate e quindi in totale libertà espressiva. Gabriele Monti, che interpreta Gollum e narra gli eventi, si è doppiato da solo; Paola era molto divertita dal raccontare una storia attraverso un protagonista muto, anche perché ha studiato e lavorato su quella che chiama “memoria emotiva”, che è un po’ il linguaggio di tutto il film e consiste nel raccontare una storia per come la si ricorda. Siamo una somma di tutte le nostre esperienze e dei nostri ricordi, del nostro passato, del nostro presente e delle aspettative riguardo al futuro, quindi la nostra realtà è soggettiva, infatti lo slogan di un personaggio è “la realtà è solo un punto di vista”.
Un film complesso, molto ibrido visivamente e a livello sonoro, dolce ma anche violento: che cosa sta alla base di questo flusso?
Anche alla Biennale, a Venezia, Paola si divertiva a domandare ai giornalisti quali colori associassero a quale emozione, dunque emergevano risposte e sensazioni diverse, a sottolineare la centralità della realtà come punto di vista soggettivo. Il film è colorato da Gollum e da come vive le proprie esperienze, dunque per lui il rosso è il pericolo, il giallo il benessere e così via. Paola è anche pittrice e dice che a forza di dipingere, quando ti abitui a vedere in un certo modo, poi osservi il mondo con quegli occhi e i colori assumono un valore diverso, più personale. Infine, nonostante l’ambiente criminale della vicenda, la violenza, come in tutta la sua cinematografia, viene derisa e umiliata, come è giusto che sia, perché a lei interessa come si reagisce in modo propositivo a essa. Un personaggio come il Duce, che è la brutalità inutile dell’atto violento, non può che essere una specie di tontolone, per cui a tratti si prova anche una lieve tenerezza.
Chi è lo spensierato e magnetico Frank?
Quando mi chiedono di cosa parla il film, chi è Frank e cosa fa, vado un po’ in pappa; il Frank è uno di questi tre lati sgangherati di un tipo di adolescenza milanese, in cui tre invisibili trovano amore e amicizia, legati un po’ tutti dalla gioventù difficile e segnata da diverse forme di violenza. Hanno modi anche di reagire diversi a queste situazioni di vita, Frank in particolare ha un passato psicologico tormentato, quindi si tinge i capelli e scappa, affermando “adesso io non esisto più”, una frase che non significa morire, e questo Frank me lo ha insegnato per la vita: all’interno di una società così oppressiva, piena di regole e convenzioni come la nostra, finalmente faccio un po’ come mi pare. Se mi voglio tingere i capelli li tingo, se voglio indossare vestiti e profumi del nonno li indosso, se voglio studiare all’università per cultura personale e passione, allora lo faccio. Frank è la libertà, la cultura e la sua realtà è totalmente modellata dalla sua percezione. Alla fine, se tutto è relativo, allora potremmo un po’ tutti riscrivere il nostro presente, esattamente come lo vogliamo.
Tutti i sogni di ‘Lonely’
Alle 18.15, Fuori concorso, Castellinaria ospita a Giubiasco ‘Lonely’ di Michele Pennetta, alla presenza del regista e di uno dei protagonisti del film, Federico Peduzzi. Il film è distribuito in Svizzera da Noha Film e la proiezione si inserisce nella rassegna ‘Let’s Doc! Il mese del documentario’.
‘Precious’ è la storia di una giovane nigeriana 18enne da poco e in perenne conflitto con la madre. In cerca d’indipendenza, prematura e pericolosa, ha la stessa età di Federico, ragazzo con problemi di salute. I due condividono un legame fondato su progetti musicali, che andranno a confrontarsi con la realtà quotidiana. Il film verrà proposto in seguito anche nelle sale della Svizzera italiana.