Storia di Marco, Cecilia, Paolo e Tommaso: amori, eccessi, speranze e prime piccole e grandi disillusioni di quasi ventenni nel filmdi Alessandro Prato
«L’ho scritto a 19 anni, in seguito a un episodio della mia vita che è il medesimo raccontato nella scena del provino». La scena del provino: Marco Lupi, sogni di attore già fuori dal cassetto, sostiene un provino-farsa perché gli attori sono già stati selezionati da tempo. «Visto che essere preso in un film era impossibile, il film me lo sono fatto da solo».
Marco è Alessandro Prato, 27enne attore e regista al suo primo lungometraggio. Il suo ‘Agrodolce’, presentato a Castellinaria in prima internazionale ieri sera nella sezione Young, nasce da quell’episodio personale per estendersi alla vita di altri tre 19enni confrontati, esattamente come Marco, ai sogni che l’età chiama, impone e a volte infrange. I sogni della lunatica Cecilia (Alessandra Scarci), che fa da madre a un padre assente, e sfoga il disagio nella pittura; i sogni di scrittrice dell’insicura Paola (Giorgia Gambuzza), con una voglia di sentirsi più leggera che esuli dal peso perso; i sogni dell’aspirante frate Tommaso (Andrea Colussi), di famiglia disagiata, che ha scelto la fede per aiutare gli altri, fregandosene dei bulli. «Ho scritto ‘Agrodolce’ per raccontare i sogni dei ragazzi», spiega Prato. «Perché oggi sono sempre meno quelli che ancora sognano».
Pensato a 19 anni, girato a 23, uscito a 27, ‘Agrodolce’ è lo specchio di una generazione: «La storia mi pare sia ancora fedele a quando l’ho immaginata, se non peggio. Dopo otto anni, che sono tanti, la situazione quella è: i giovani hanno ancora più bisogno di socializzare, di stare uniti. E i social non aiutano». I quattro protagonisti, affiatati, vengono dalla frequentazione comune dello Studio Cinema International di Roma. Prato e Scarci hanno preso parte a ‘Tommaso’ di Abel Ferrara, la seconda a ‘Loro’ di Paolo Sorrentino. Giorgia Gambuzza ha recitato in ‘Don Matteo’, ‘Un passo dal cielo’, ‘L’isola di Pietro’ e ‘L’allieva’, in varie stagioni. Colussi è al primo ruolo da protagonista. «Quella scuola – continua Prato – mi ha dato la possibilità di incontrarli, ma anche di studiare con Pupi Avati, mio primo maestro e fonte d’ispirazione, persona che mi ha preso sotto la sua ala. Saperlo qui, anche se solo tramite il suo film, è stato per me un motivo di grande orgoglio».
All’età di 6 anni, Prato voleva fare l’attore, e già si preoccupava se non fosse funzionato. Avrebbe potuto girare ‘Agrodolce’ in Puglia, ma ci teneva a farlo a Cremona: «È la città di Tognazzi e Mina, anche se il nemo propheta in patria è valido ovunque. Anche chi ti denigra e poi, alla prima del film, si commuove e ti chiede scusa». Ha nel cassetto una sceneggiatura scritta con Franco Ferrini (‘C’era una volta in America’) e benedice Mauro Bonanni, andatosene nel giugno di quest’anno, l’unico montatore italiano di Orson Welles, l’unico montatore di ‘Agrodolce’: «È riuscito a montare l’inmontabile, il girato di quindici giorni, due ore diventate un’ora e mezza: è riuscito a farlo diventare un film». Un lavoro, il suo, fatto anche in amicizia, Prato lo dice solo oggi: «In quel periodo si ammalò di tumore ai polmoni; andando in ospedale durante la chemioterapia, spingere la sua carrozzina mi è sembrato quasi un volerlo risarcire per l’aiuto datomi. Gli volevo davvero bene, insieme ai suoi figli sono stato l’ultima persona che gli è stata vicina l’ultimo giorno, in casa».
«Il cinema l’ho scoperto con mio padre guardando tanti film, anche se a differenza di molti giovani cineasti non sono cresciuto con i capolavori del cinema, ma più con le americanate». Beata sincerità: «Ho amici che dicono di essere cresciuti con Antonioni, ma trovo più facile pensare che un maestro del cinema come lui abbia fatto sognare registi di quaranta, cinquant’anni. Io ho voluto fare cinema, e non mi vergogno a dirlo, guardando tutti gli ‘Harry Potter’, i ‘Jurassic Park’, la fantascienza, un po’ di John Carpenter e di Sergio Leone, ma in primis ‘I pirati dei Caraibi’». E a Jack Sparrow, in ‘Agrodolce’, Prato regala, riconoscente, il dovuto tributo.
Il film ha un budget di 16mila euro raccolti tramite crowdfunding; si può provare a immaginarselo finanziato cento volte tanto e pensare dove porterebbero la giusta ambizione di Prato, la naturale sua (misurata) comicità e la recitazione di Paola e Cecilia, Scarci e Gambuzza, l’oro del film. Primo classificato ai Rome outcast indipendent film awards e ai Florence film awards (con Alessandra Scarci migliore attrice protagonista), Castellinaria significa tanto per Prato: «Il cinema serve tanto al pubblico giovane. L’incidente di metà film può far riflettere». C’entrano l’alcol, lo sballo, l’incoscienza, ma anche lo smarrimento dal quale salvarsi: «Ho voluto che le persone fossero felici. In Italia si tende a girare una gran quantità di drammi. Oggi più che mai, invece, le produzioni vogliono commedie, non perché siano più belle, ma perché i ragazzi hanno bisogno di serenità».