Arte

L’espressionismo italiano e i suoi protagonisti

‘L’estetica della deformazione’, alla Galleria d’Arte Moderna di Roma fino al 2 febbraio 2025, in contrappunto allo Sgarbi del Mart di Rovereto

Emilio Sobrero, Colosseo, 1927-1935 - olio su tela cm 68 x 89
(Collezione GAM)
26 settembre 2024
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Con i tratti e la tempistica di un botta e risposta la Galleria d’Arte Moderna di Roma allestisce un’ampia rassegna sull’espressionismo in Italia negli anni Venti-Quaranta che suona una musica diversa, in contrappunto, rispetto a quella su Arte e Fascismo curata da Vittorio Sgarbi al Mart di Rovereto. Gli anni sono praticamente gli stessi, i protagonisti no, pur figurando in parte nelle due esposizioni. Scelta e intenti sono chiari. Vi confluiscono opere rappresentative della stessa Galleria d’Arte Moderna, dei Musei di Villa Torlonia e della Collezione Iannaccone, la maggior raccolta privata sull’arte italiana concernente quel periodo. Come scrive Elena Pontiggia, l’avvocato che l’ha messa insieme negli anni, Giuseppe Iannaccone, di origine campana ma milanese di adozione, “ha seguito e inseguito quell’arte che, dopo la grande stagione delle avanguardie, non ha coltivato gli ideali classici del Ritorno all’ordine, teorizzati da ‘Valori Plastici’ e da Novecento Italiano (ricostruzione della forma e della figura; preminenza del disegno nella composizione; dialogo con i grandi maestri del Quattrocento e del Cinquecento), ma ideali diversi, incentrati sull’intensità del colore; sulla fantasia, la visionarietà e la soggettività dell’io; sull’espressione dei sentimenti e delle emozioni”.

Si tratta in altre parole di quella “pittura che si è ispirata variamente al primitivismo del Doganiere Rousseau, a Van Gogh, ai fauves, a Ensor e alla Scuola di Parigi, ma anche a una linea della storia dell’arte che va da Tintoretto al Greco a Goya. Ed è una pittura che all’epoca molti suoi interpreti e sostenitori, da Birolli a Sassu, da Persico a Raffaele De Grada, hanno definito ‘neoromantica’ o semplicemente ‘romantica’, contrapponendola alla ‘moderna classicità’ che aveva dominato il dopoguerra europeo.”


Collezione GAM
Scipione (Gino Bonichi), Il Cardinal Decano, 1930 C

Rivoluzionare il linguaggio

In contrapposizione con l’estetica dominante, questi artisti optano infatti per un linguaggio spiccatamente antiaccademico, identificato a volte come selvaggio, primitivo, oppure visionario o perfino puerile, che puntava a rivoluzionare il linguaggio e a esaltare il soggettivismo emozionale tipico di quel multiforme ‘espressionismo’ che aveva caratterizzato non poca pittura di inizio secolo fuori dai confini italiani: tanto in Germania quanto in Francia. Da qui lo scardinamento dello spazio prospettico, la prevalenza del colore sul disegno, la scelta di una cromia antinaturalistica e ribelle ovvero dell’impulsività emozionale e anarchica rispetto non solo al canone ‘classico’ di bellezza, ma anche al tradizionale concetto di buon lavoro artistico e padronanza del mestiere. Di più: sulla scia di Rousseau, Van Gogh, Matisse e Derain essi vanno anche oltre la poetica degli impressionisti: per questi non era importante la rappresentazione oggettiva delle cose, ciò che gli occhi vedono, quanto il rapporto che si viene a stabilire tra il soggetto pittore e l’oggetto paesaggio, e cioè la sensazione che ‘si vive e sente dentro’ mentre si opera in presa diretta. Gli espressionisti vanno anche oltre, reinterpretando e reinventando l’oggetto della pittura. Lo dice lo stesso termine ‘espressionismo’: dal latino ex-premĕre, cioè spremere dal di dentro, esternare attraverso il filtro della soggettività. Per questo le loro opere si discostano tanto dai richiami del tardo naturalismo e dal colto simbolismo letterario quanto dalla resa impressionistica. Sul loro paesaggio si deposita uno sguardo inquieto o uno slancio primitivo e vitalistico, la città diventa scenario di visioni allucinate e oniriche, mentre gli oggetti delle nature morte sembrano non di rado metafore enigmatiche. In Italia tutto questo si afferma come fenomeno laterale, in contrasto con la poetica del monumentalismo fascista o la celebrazione del regime, grazie ad alcuni gruppi di artisti che hanno operato in situazioni e regioni diverse. Non è stato quindi un movimento unitario, ma un manifestarsi di esperienze indipendenti, traversali eppure affini per via di un comune atteggiamento di fondo e di un medesimo orientamento linguistico-espressivo.


Collezione Iannaccone
Emilio Vedova, ‘Il caffeuccio veneziano’, 1942

Scuole

La rassegna romana si concentra soprattutto su tre città iniziando da Roma con la sezione dedicata alle cosiddette Scuole Romane, in particolare alla ‘Scuola di via Cavour’: denominazione coniata nel 1929 da Roberto Longhi in riferimento alla via dove abitavano Mafai e la sua compagna, la lituana (giunta a Roma nel 1924) Antonietta Raphaël, ai quali si univano l’emiliano Marino Mazzacurati e Scipione il pittore più visionario dell’epoca: nei suoi paesaggi romani, immersi in una luce febbricitante, gli storti palazzi sembrano apparizioni. Si prosegue con alcuni dei protagonisti del gruppo dei ‘Sei di Torino’ (1929-31), “una pattuglia giovane di anni e giovane di spirito” tra cui Chessa, Galante, Carlo Levi e Menzio, riunita attorno al carisma di Felice Casorati e alle personalità di Edoardo Persico e Lionello Venturi. Il terzo è il celebre sodalizio di ‘Corrente’, protagonista dal 1938, a Milano, di un vigoroso e appassionato espressionismo lirico, che guarda alle ricerche parigine del postimpressionismo. Il gruppo di giovani artisti coordinati da Edoardo Persico (Badodi, Birolli, Cassinari, Sassu, Treccani, Valenti e molti altri – come Manzù, Fontana, Tomea, Cantatore – che partecipano più o meno assiduamente alle attività della rivista e della Bottega omonime) esprimono una pittura inquieta ed emozionata che ha contribuito non poco al rinnovamento dell’arte in Italia.


Collezione Iannaccone
Alberto Ziveri, Il postribolo, 1945 - olio su tela, 100x125

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