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Collezione Olgiati, monodie e sinfonie ultrastoriche

‘Yves Klein e Arman. Le Vide et Le Plein’, progetto inedito che mette a confronto l’opera dei due esponenti di punta del ‘Nouveau Réalisme’

Dal 22 settembre al 12 gennaio. Nella foto: Arman, Cachet (Tampon assemblages), 1959
(Arman Studio Archives New York)
21 settembre 2024
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La mostra allestita presso la collezione Olgiati di Lugano, curata da Bruno Corà, con progetto dell’allestimento di Mario Botta, si appoggia ai concetti evocati da Arman e da Yves Klein con due iniziative presso la galleria Iris Clert di Parigi. Yves Klein, nel 1958, con Le Vide lascia gli spazi espositivi completamente vuoti; Arman nel 1960 sceglie il titolo Le Plein e riempie lo spazio con oggetti variegati, alcuni deperibili. Le due mostre furono il frutto di un legame personale dei due artisti, stretti da un sodalizio intimo e da una comune esigenza di imporre la propria personalità nel sistema e nel mercato dell’arte, in un vivace e confuso periodo durante il quale, in Europa e negli Stati Uniti, gli equilibri e i valori artistici e culturali si rimodulavano. Oggi la loro esperienza ci resta preziosa per il valore storico e per le contraddizioni che genera e che riflette e, in effetti, i due contributi ci appaiono a più di un titolo complementari.

Nel riflettere sulla personalità di Yves Klein, Thomas McEvilley ha pubblicato nel 1999 un testo nel quale ci propone il valore della contraddizione: “Più apertamente della maggior parte di noi, Yves Klein incarnò una contraddizione. …. riteneva di essere storicamente designato ad annunciare visivamente l’astoricità … sentiva di essere una figura astorica o archetipica e di dover presentare se stesso agli altri, giustificando in qualche modo la propria presenza nella storia. …Tuttavia, quell'aspirazione era così assurda, e lui ne era così consapevole, che pensò bene di portare su di sé il peso della storia con l'estro chapliniano di un clown…”. E ancora: “Nel promuovere se stesso Klein rivendicava la propria funzione di individuo cosmico-storico, adottando, quindi, un'immagine di sé essenzialmente modernista. Allo stesso tempo, però, il suo compito era annunciare la fine dell'era modernista e l'avvento dell'era della pura spiritualità, vale a dire calare il sipario sul mondo della forma storica e dell'individuo cosmico-storico…. La sua opera è attraversata da entrambe le tendenze: da una parte il monocromo metafisico e l'approccio solenne al vuoto; dall'altra le performance che parodiavano la solennità, l'ironia decostruttiva, le buffonate da clown. In questo senso Klein può essere considerato un fenomeno della fine del Modernismo… Forse è così che la sua dualità deve essere percepita: Klein superò l'impasse Modernismo/post Modernismo con estrema chiarezza e intensità. Praticò le due ideologie con eguale passione, incarnando il momento storico, le sue forze contrastanti e le realtà opposte delle loro rivendicazioni. Per certi versi il suo personale Mistero della Passione mise in scena la morte del Modernismo e la contemporanea nascita del post Modernismo. In questo senso Klein diceva la verità quando, dopo la mostra Le Vide del 1958, dichiarò: ‘Al di là della mia modesta persona, è la brusca estrapolazione di quattro millenni di civiltà che viene a trovare il suo definitivo coronamento’”.


Collezione privata
Yves Klein, Anthropométrie sans titre, 1960

‘Modulazione del molteplice’

Oggi tutto questo atteggiamento risente del peso della storia trascorsa tra quel periodo del dopoguerra e noi; risente dell’esperienza a cui tali proposizioni hanno dato spazio, dei risultati generati dalle ulteriori radicalizzazioni del gesto artistico e delle elaborazioni del vuoto e della tautologia che ci hanno condotto in una situazione in cui qualunque soggetto ha titolo per diventare arte epperò ci si ritrova spesso di fronte all’arte del qualunquismo. Nondimeno, ancora oggi in più occasioni sentiamo il fascino per i contenuti lirici, direi di delirio cosmico-lirico, della biografia e del lavoro prodotti da Yves Klein.

La complementarietà di Arman possiamo vederla innanzitutto nei termini di posizionamento di tautologie diverse. Mentre Klein coltiva la retorica della rarefazione e la persegue come luogo di sublimazione e assolutizzazione della storia, Arman (anche tautologicamente) reifica il concreto oggetto. Può essere uno strumento musicale, cioè un oggetto concreto che è anche simbolo di altro, oppure può essere un oggetto quotidiano, una sedia, una caffettiera e così via. Arman lo fa diventare frammento, perché lo seziona o lo distrugge o lo duplica ed ennuplica e con una sorta di saturazione di uno spazio ridefinisce la realtà.

Umberto Eco, in un suo intervento pubblicato ne L’Espresso in occasione della morte di Arman, ci fa notare: “Le sue opere sono moltiplicazioni di un oggetto singolo, o quasi. Ma è questo ‘quasi’ che rende i suoi cataloghi misteriosi e rivelatori. Perché essi ci mostrano che anche all'interno del medesimo (tante forchette, tanti occhiali, tanti strumenti musicali) esiste la possibilità di una modulazione del molteplice. Nel gioco dei suoi assemblaggi, in cui ogni oggetto, per un'inclinazione, una deviazione di equilibrio, una rotazione minima, si differenzia dai suoi confratelli, Arman trasforma la monodia dell'identico in sinfonia dell’eterogeneo”.


Arman Studio Archives New York
Arman, malheur aux barbus

‘Dividersi l'impero’

Per comprendere alcuni aspetti della relazione tra i due artisti e del rapporto tra il lavoro dell’uno e dell’altro, possiamo appoggiarci alla ricostruzione fatta da Pierre Restany in Les Nouveaux Réalistes, libro del 1968 che racconta una storia della quale egli è stato in parte artefice: Arman e Klein “si erano divisi il mondo come baroni dell’impero. La terra toccò ad Arman: il mondo dell'industria e della tecnica, dei mass media, della produzione in serie. Il mondo della quantità… Arman scoprì poco a poco, attraverso la nozione centrale dell'autonomia espressiva dell'oggetto di serie, il linguaggio della quantità… Presentando nell'ottobre 1960 il Pieno da Iris Clert … conferma la decisione di passare definitivamente dallo stadio dello scrivere con gli oggetti a quello dell’appropriazione oggettiva pura e semplice. Gesto-manifesto anche, che è la risposta, due anni dopo, al Vuoto di Klein e con il quale Arman afferma a sua volta la sua esigenza di espressione totale”.

L’allestimento presso la Collezione Olgiati ci propone una ricostruzione lineare dei passaggi che hanno costruito questi due percorsi. Vediamo così, in ordine cronologico, a sinistra gli esperimenti e i risultati conseguiti da Yves Klein; a destra il lavoro di Arman. Il confronto ravvicinato e serrato dal punto di vista spaziale ci consente di realizzare quanto, mossi dall’esigenza, come scrive Restany, di “dividersi l’impero” dell’arte, i due artisti esprimano personalità distinte e distanti.