laR+ Collezione Olgiati

Balla-Dorazio, quadri della luce

L’affinità elettiva di due maestri nella mostra curata da Gabriella Belli e allestita da Mario Botta, dal 24 settembre al 14 gennaio allo Spazio -1

Giacomo Balla, Compenetrazione iridescente n.4 (1912-13)
(© 2023 ProLitteris, Zurich)
22 settembre 2023
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“Nel taccuino di Düsseldorf … Balla disegna … di fatto la rappresentazione della ‘anatomia’ della luce, qui decrittata con un fine speculativo, volto a rappresentare una vera e propria fenomenologia delle radiazioni luminose”. Così Gabriella Belli presenta, nel catalogo, il corpo di lavori prodotti da Giacomo Balla in seguito a un soggiorno a Düsseldorf nel 1912 e presentato a Lugano al -1 del Masi. Insieme, noi vediamo una serie di grandi Trame o Reticoli dipinti di Piero Dorazio al volgere del 1960. Gabriella Belli: “Nell’improvviso zampillare di un abbaglio luminoso, che fuoriesce dagli interstizi che si formano all’incrocio delle linee, tra filamento e filamento, allo sconfinamento del triangolo che lì si forma (eloquente vicinanza al pattern di Balla) si registra nella tessitura un effetto straordinario, come di verità rivelata”.

‘Balla ’12 Dorazio ’60. Dove la Luce’ è una iniziativa di Danna Battaglia e di Giancarlo Olgiati, a dieci anni dall’apertura dello spazio dedicato alla loro collezione; non è tanto legata alla collezione, anche se in mostra ci sono opere che ne fanno parte, ma vuole riprendere alcuni temi cari ai due collezionisti, temi centrali nella attività artistica di ogni tempo e in ciò che noi definiamo pittura. Si tratta di cosa sia la luce e di come essa possa arrivare alla nostra fruizione; si tratta di due artisti di generazioni diverse, importanti nella biografia della collezione, proposti attraverso l’esperienza concreta di due serie omogenee e limitate. La questione è dunque innanzi tutto la luce e cito ancora Gabriella Belli: “La luce è dunque il tema centrale di questo racconto visivo … Ciò che seduce e ancora ci interroga di quel fenomeno luminoso, di cui queste opere sono interpreti e tributi, è il mistero che al di là di ogni verità scientifica sentiamo in tralice calamitare il nostro sguardo dentro le superfici”.

Il confronto tra le due serie prodotte è dunque una occasione preziosa. Sappiamo che il comparto dell’arte è il settore sociale all’interno del quale vengono affrontati nodi capitali della nostra esistenza. L’artista mette a disposizione la propria professionalità al fine di adempiere ai doveri generati dalla funzione del suo mestiere e nel nostro caso si misura con il rapporto tra luce, colore e movimento.


© 2023 ProLitteris, Zurich
Tra le opere esposte a Lugano, da sinistra: Piero Dorazio, Few roses (1963), olio su tela; Giacomo Balla, Compenetrazione iridescente n.7 (1912 ca.), olio su tela

Partecipazione

Qui risiede, a mio avviso, l’importanza della mostra per chiunque voglia partecipare alla riflessione su un tema ineludibile, partecipare del lavoro dell’artista e nutrirsi di uno dei misteri della nostra vita. Vi è poi l’aspetto della qualità pittorica che qui si esprime lungo uno spettro vasto e sulla quale ciascuno di noi può atteggiarsi in funzione della propria sensibilità e disposizione. Personalmente, sarei felice di poter fruire di tanta ricchezza in ulteriori condizioni di luce ambientale (per esempio un ambiente di luce fredda e penso a Brest e uno di luce calda siciliana).

Le due modalità di indagine sono diverse e sulle due serie è ancora viva la discussione scientifica. La relazione tra di esse è ricostruita da Denis Viva in un saggio di qualche anno fa: “Fra la fine del 1950 e l’autunno del 1952, iniziò a circolare sulle riviste specializzate l’idea di un Balla ‘nobile antenato’ dell’astrazione”. È lo stesso Dorazio a raccontare il suo incontro personale con Giacomo Balla: “Conobbi Balla, che in quegli anni tutti pensavano fosse morto. Mannucci un giorno mi portò a Castel Sant’Angelo, era febbraio, e lì seduto su una panchina che prendeva il sole, trovammo Balla. Ci invitò subito a casa sua e ci mostrò un palchettone sopra la cucina dove aveva praticamente nascosto tutti i suoi quadri futuristi”.

Come scrive Francesco Tedeschi nel suo testo in catalogo, Dorazio vuole “recuperare lo spirito dell’articolazione costruttiva, derivata dall’osservazione e dalla rielaborazione dei flussi cromatici come ideazione di combinazioni che delineano un senso di continuità di superficie … . La qualità fluida e bidimensionale del colore, che si estende oltre i limiti dati, definendo l’opera come un equilibrio momentaneo in cui luce e spazio si espandono indefinitamente, sarà motivo portante delle diverse modalità di concepire il dialogo di forma e colore nelle opere di Dorazio”. In tale processo la serie che Balla chiamava iridi e che tardivamente prese il nome di Compenetrazioni iridescenti è un riferimento importante.


Piero Dorazio, Allo scoperto (1963), olio su tela

Rendere visibile l’invisibile

Per utilizzare le parole pubblicate nella rivista Storia dell’arte da Fabio Benzi, “le Compenetrazioni sono funzionali alla comprensione dei meccanismi scientifici della luce e delle onde elettromagnetiche”. Le forme messe in azione dal pittore ambiscono ad analizzare “la propagazione della luce attraverso le onde elettromagnetiche, e costituiscono la verifica di un tentativo di rappresentare non l’apparenza della velocità, ma le forze dinamiche universali che la consentono. Attraverso il moto ondulatorio di propagazione della luce, l’elemento più veloce nell’universo, Balla stringe un’analisi che senza contraddizioni fonde le più recenti ricerche scientifiche e le riflessioni teosofiche e spiritualistiche, in una dialettica che all’epoca non mostrava alcuna scissione intellettuale, anzi, vedeva un reciproco sostegno di teosofi e di scienziati e matematici”. “Insomma, nel loro complesso le Compenetrazioni iridescenti rappresentano il tentativo sperimentale di rendere visibile una parte invisibile del cosmo”.

L’impegno di entrambi gli artisti è di utilizzare la pittura per tradurre in immagine qualcosa che è spiegato dalla fisica moderna ma che noi comunemente non percepiamo. Piero Dorazio riprende la ricerca di Giacomo Balla e la sviluppa in una modalità propria. Estrapolo dalla già citata ricostruzione di Denis Viva alcuni anni fa: “L’abolizione del rapporto figura-sfondo dei rombi balliani fu resa più ambigua dalle sovrapposizioni di linee di Dorazio, quasi in trasparenza, interessato piuttosto all’effetto di mescolanza ottica, che in Balla era più indiretto e dilatato. Ugualmente, Dorazio ripropose, con maggiore densità, la soluzione di una griglia che appiattisse la superficie, pur conferendole un proprio spessore luministico, e che prolungasse la composizione oltre i limiti del formato.

Vi erano, infatti, dei presupposti operativi che già in Dorazio saldavano il processo e il risultato pittorico: la selezione di una scala tonale, come nelle Compenetrazioni iridescenti, per impostare la tavolozza dei Reticoli; la ricerca di una miscela ottica come luminosità o come, per Dorazio, effetto monocromo di vibrazione diffusa; la liquidità del pigmento – talvolta l’olio di Dorazio s’avvicina all’acquerello di Balla – e la pressione del pennello; o l’orientamento diagonale delle linee, unica regola direzionale per la mano. Tutto si saldava: il ritmo delle linee con la vibrazione luminosa, la geometria con la direzione delle pennellate, la diluizione delle tinte con l’effetto di luce complessivo del quadro”.

Grazie a questa mostra possiamo toccare con i nostri occhi cosa tutto ciò significhi.


Enrico Cano
Modello di studio Mario Botta Architetti