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La meditazione artistica di Hu Junjun

Al Museo delle culture le opere dell’artista cinese la cui vita è stata cambiata dall’incontro con la spiritualità buddhista che permea i suoi lavori

25 luglio 2024
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L’estetica delle prime opere che si incontrano allo Spazio Cielo del Musec ricorda, per i colori saturi e luminosi, la pop art. Ma è solo l’apparente impressione di un occhio abituato alla tradizione occidentale: i riferimenti dell’artista cinese Hu Junjun sono altri, come la pittura e la statuaria buddhista della Dinastia del Nord (386-581 d.C.).

Del resto è proprio questa, la caratteristica del ciclo “Global Aesthetics” che da qualche anno fa parte dell’offerta espositiva del Museo delle culture di Lugano: guardare alla produzione artistica contemporanea da più punti di vista, invitando il pubblico a prendere in considerazione altre tradizioni e altre estetiche, supportati non solo dall’estetica e dalla storia dell’arte ma anche da discipline come l’antropologia e la sociologia. O, come è appunto il caso della mostra ‘The Journey to Compassion’ curata da Giancarlo Ermotti e Massimiliano Vitali, dagli studi sulla spiritualità.

Per guardare alle opere di Hu Junjun dobbiamo infatti partire dal buddhismo che l’artista – aspetto biografico curioso, essendo lei cinese – ha scoperto nel 2003 negli Stati Uniti, dove si era trasferita da alcuni anni prima di tornare definitivamente in Cina.

Sotto gli alberi di sal

Il sal, o sakhua, è una pianta tipica del subcontinente indiano cara al buddhismo, probabilmente per via del suo breve periodo di fioritura interpretato come segno del cambiamento. Secondo la tradizione, Gautama Buddha all’età di ottant’anni si coricò sul fianco destro sotto due alberi di sal e, in uno stato di profonda quiete e serenità, entrò nel Nirvana: in quel momento i due sal fiorirono lasciando cadere sul corpo di Buddha i petali dei loro fiori.

È il Parinirvana, il momento del definitivo raggiungimento del Nirvana che Buddha aveva già raggiunto a 25 anni dopo sette settimane di meditazione, decidendo tuttavia di “restare sulla terra” per condividere la propria dottrina con il mondo. L’immagine del Buddha sdraiato sul fianco destro sotto i rami fioriti di sal rimanda quindi all’illuminazione e alla cessazione non solo della vita terrena, ma anche dell’inconcludente ciclo di nascite e morti. Ed è questa immagine che ricorre nei dipinti a olio di piccole e grandi dimensioni di Hu Junjun che troviamo in mostra, oltre che nelle sculture realizzate – seguendo di nuovo una tradizione buddhista – con frammenti di stoffa recuperata dal mondo della moda e pazientemente ricuciti insieme. Hu Junjun ha anche realizzato, non presente in mostra per ovvi motivi una grande statua del Buddha coricato realizzata con rami d’albero secchi.

Tuttavia – al contrario ad esempio delle immagini di santi nell’arte religiosa occidentale – questo Buddha sdraiato raramente è l’elemento centrale dei dipinti e anzi è spesso raffigurato in piccolo e, altro elemento per noi insolito, circondato da oggetti comuni come teiere. Si tratta di un altro elemento della spiritualità buddhista: il Buddha non è una divinità, ma un essere umano tra altri esseri umani, l’obiettivo non è venerare il Buddha, ma seguirlo nel suo percorso di illuminazione.

Hu Junjun, come accennato, ha scoperto il buddhismo non in Cina – è nata a Shanghai nel 1971 e negli anni Novanta si è trasferita a Pechino, nel quartiere degli artisti Yuan-mingyuan, dove si è dedicata alla poesia e alla pittura – ma in un centro di meditazione di New York. La generazione di Hu Junjun, è stato spiegato durante la conferenza stampa di presentazione della mostra, di fronte alla profonda modernizzazione e liberalizzazione ha dovuto costruirsi una nuova identità che molti artisti hanno cercato negli Stati Uniti o in Europa. Così aveva fatto anche Hu Junjun, trovando tuttavia nel buddhismo la risposta ai suoi interrogativi esistenziali, come lei stessa ha raccontato spiegando l’importanza della spiritualità buddhista nella sua vita e nella sua arte.

Una meditazione colorata

La sua non è un’arte sacra nel senso tradizionale, e occidentale, del termine: non sono un tentativo di proselitismo, ma rappresentano piuttosto il risultato di una meditazione, un’esperienza zen che l’artista vuole condividere con il pubblico.

Se vogliamo accostare l’opera di Hu Junjun a una tradizione occidentale, dobbiamo probabilmente guardare all’arte naïf, realizzata da persone prive di formazione e di modesta estrazione sociale, la cui espressività artistica si manifesta libera sia dalle tradizioni accademiche sia quelle artigianali. La stessa Hu Junjun non ha una formazione artistica formale e le sue opere, per quanto come detto nate da un approfondito studio di tradizioni antiche, si presentano con forti tratti, quasi infantili, di spontaneità.

L’esposizione ‘Hu Junjun. The Journey to Compassion’ presenta 38 fra dipinti e sculture, opere create fra il 2015 e il 2024. Il percorso espositivo si conclude con il breve filmato ‘The Covenant of Nirvana’ del 2022, diretto da Huang Maosen, sul percorso di avvicinamento dell’artista al buddhismo. La mostra rimarrà aperta fino al 3 novembre 2024.