Al Musec da oggi, 28 ottobre, al 12 maggio 2024 il progetto (e non la mostra) sull’artista milanese, per il ciclo ‘Global Aesthetics’
Nell’informativa ufficiale ve n’è una composta traccia, perché il curatore della mostra in questione aborre gli omologhi che si mettono il nome e il cognome sui manifesti. Che Paolo Campione, direttore del Musec, sia profondamente coinvolto in quanto esposto in ‘Astratto’, la prima esposizione dedicata all’artista milanese Luca Pignatelli relativa alla sua ricerca sull’astrattismo (da oggi al 12 maggio 2024 al Museo delle Culture di Lugano), s’intuisce dall’informativa – che dice subito della lunga e intima frequentazione con l’artista che ha portato alla mostra – ma soprattutto dal momento pubblico introduttivo: “È un lavoro durato due anni – premette Campione – fatto di incontri reciproci. Verte sulla storia di vita, sul mondo interiore e sul rapporto che Pignatelli ha con il suo spazio culturale e sociale”, che è quanto avviene di norma per tutti i protagonisti di ‘Global Aesthetics’, il ciclo che esplora forme e linguaggi dell’arte contemporanea nel quale ‘Astratto’ è inserita e del quale rappresenta il quarto, ricco episodio.
Rifacendosi agli intenti del ciclo, “noi – a parlare è il direttore – non esponiamo quadri cercando di interpretare il linguaggio di un artista, semmai facciamo il contrario: lo incontriamo, cerchiamo d’interpretarne il linguaggio per poi presentarne le opere dopo averle scelte insieme, togliendo all’arte contemporanea l’effimero che in qualche modo l’ammorba, restituendole l’identità di fenomeno autenticamente culturale, lontano dalle mode”.
Quella di Pignatelli, ci tiene a sottolineare Campione, non è una mostra ma un progetto. Anche nel suo aspetto bibliografico: insieme al consueto catalogo 30x30 in due lingue, in coproduzione con Skira, verrà dato alle stampe un libro d’artista in edizione limitata intitolato ‘Genesi e astratto’ (149 copie firmate e numerate, ciascuna corredata da un frammento di un’opera originale di Pignatelli) e – successivamente, prendendo sostanza dal suddetto libro d’artista – un volumetto divulgativo con approfondita conversazione sui temi dell’arte tra curatore e artista.
M. Sereni
‘Corpo di fabbrica’, 2019
Classe 1962, Luca Pignatelli nasce e cresce (idealmente) nell’atelier di papà Ercole, pittore e scultore, luogo nel quale muove inevitabilmente i primi passi nel mondo dell’arte. La sua prima mostra risale al 1987, la sperimentazione di materiali e tecniche è arrivato sino a noi, tendendo verso le opere di grande formato. Attratto, negli anni di Architettura al Politecnico di Milano, dall’idea di edificio e città come sommatoria di stili ed epoche, dunque in armonia con il passato, si ritrova a privilegiare – quali luoghi di ricerca artistica – fabbriche, arsenali militari e depositi delle città portuali, integrati ai grandi edifici. Risale agli anni Novanta la virata di Pignatelli in direzione dei supporti che hanno esaurito il proprio ruolo: tra carte assemblate e tessuti, tra lastre di ferro zincato e tappeti persiani usurati, spunta la tela di canapa dei convogli ferroviari, che ci porta ad ‘Astratto’ superando quanto avvenuto, in questo senso, nel mezzo: i molti cicli, da ‘Arazzi italiani (2007-2008) a Persepoli (2017), e le importanti temporanee, dalla Quadriennale d’Arte di Roma (1966) alla New York Historical Society (2022), passando per la Biennale di Venezia (2009).
‘Astratto’ è il risultato di dieci anni di lavoro durante i quali l’artista – ricorda Campione – “non ha voluto dare pubblicità al risultato prima di averne maturata la convinzione”. Nasce dal dialogo di cui sopra, flusso di ricordi, suggestioni, riflessioni scaturite dalla visione delle opere e di tutto il resto presente nell’atelier di Pignatelli, utili a produrre una definizione o, meglio, il senso che l’astrazione assume per l’artista. Sono quarantanove le opere esposte, per lo più inedite e per lo più di grandi dimensioni, ricavate da ampi frammenti di teloni ferroviari dismessi, cuciti tra loro, forati, bruciati, dipinti. In alcuni casi, vi si aggiungono inserti di varia natura, dando vita alla molteplicità di significati propria dell’astrattismo. I due piani di Villa Malpensata (“Trasformati in caldo ventre, per meditare e contemplare il valore dell’opera d’arte”), ospitano angoli di atelier milanese, restituendo alle opere il proprio habitat: da Milano sono stati trasportati una messe di fotografie, ritagli e disegni, a popolare il lungo tavolo posto in una delle prime stanze, e poi tavoli e sedie, poltrone e divani, carrelli, residui di teloni, cocci e chiodi, pennelli e latte di pittura. “La sua storia di vita – commenta il curatore – è restituita dalla presenza degli oggetti del suo studio, che contrappuntano il viaggio nell’esposizione temporanea. Sono gli strumenti della quotidianità, il precipitato di un’enorme vita d’artista, riassunto e illuminato a giorno dal progetto”.
G. Anello
Lo studio milanese, il tavolo è riprodotto a Lugano
Quasi in contrapposizione con l’astrattismo, nei confronti del quale la parola è labile, undici vocaboli – selezionati tra una ‘nuvola’ di 61 parole (come gli anni dell’artista) creata durante gli incontri milanesi e luganesi preparatori alla mostra – ci guidano attraverso ‘Astratto’: persona, ricordo, memoria, impronta, frammento, relitto, abisso, grotta, spiaggia, terra, origine. Andando dalla prima all’ultima parola – e leggendo il breve testo che, uno per stanza, le ospita singolarmente – si percorre il percorso spirituale dell’artista. “Il rapporto con l’opera – dice Pignatelli – segue un percorso del quale io non conosco inizio e fine, come spesso accade. Cercare di portare di fronte agli occhi del mondo qualcosa che viene risemantizzato rispetto alla sua origine è sempre un mistero. Ho iniziato a dipanarlo, cerco oggi di riportarmi all’origine, verso la quale tendo sempre”. E ancora: “Questa mostra segna per me il punto d’arrivo di una ricerca, perché quando affronto la pittura mi pongo sempre nella dimensione del ricercatore”.
E a proposito di ricerca, “l’arte è il risultato di un essere umano che presenta al mondo il suo universo interiore”, dice Campione invitandoci a guardare l’‘Astratto’ di Pignatelli col cuore anziché con gli occhi. Noi, che proprio agli occhi non sappiamo rinunciare, il cuore l’abbiamo tenuto comunque aperto.
G. Anello
Luca Pignatelli