Al Musec di Lugano la mostra ‘Landscapes of Identity’ dell’artista Yang Xiaojian
Il Museo delle culture di Lugano prosegue il suo percorso ‘Global Aesthetics’ dedicato all’arte contemporanea con l’esposizione ‘Landscapes of Identity’ dell’artista cinese Yang Xiaojian, inaugurata nelle scorse settimane e che si chiuderà il prossimo 9 giugno (sovrapponendosi con l’altra esposizione dedicata a un artista contemporaneo, Luca Pignatelli, al Musec fino al 12 maggio).
Yang Xiaojian è nato nel 1960 a Taiyuan, città della Cina settentrionale a circa 400 chilometri da Pechino, e il suo percorso artistico ben rappresenta l’idea alla base del ciclo espositivo ‘Global Aesthetics’ che mira a valorizzare la creatività contemporanea ricostruendone le radici e le influenze. Nel caso di Xiaojian queste radici sono la calligrafia cinese, arte per la quale Yang Xiaojian ha mostrato, fin da bambino, una predisposizione, iniziando a vendere proprie calligrafie già negli anni Ottanta e migliorando sempre più dal punto di vista tecnico e stilistico. Poi, alla fine degli anni Novanta, accadono due cose. La prima è la morte del padre, con la possibilità di viaggiare in altre regioni della Cina e nei Paesi vicini; la seconda è la sempre più marcata percezione dei limiti dell’arte calligrafica tradizionale. “Per quanto bella possa essere, la calligrafia è condizionata dai suoi antenati e se impari dai maestri tradizionali puoi solo esserne schiavo. Al contrario, l’arte necessita di creazione e di individualità”, scrive in quel periodo. Yang Xiaojian inizia quindi a cercare nuove idee, interessandosi soprattutto alla pittura moderna occidentale – nella documentazione stampa si citano Motherwell, Dubuffet, Soulages, de Kooning e Rotko – e all’astrattismo, in particolare l’hard-edge statunitense, ma potremmo citare anche l’action painting.
Yang Xiaojian si trasferisce quindi con la famiglia a Shanghai, lavorando un atelier nell’area “M50”, un grande distretto di artisti contemporanei sorto in una ex area industriale. È qui che incontra il secondo protagonista di questa mostra, l’esperto di arte cinese Giancarlo Ermotti che vede, nel lavoro di questo artista, qualcosa di diverso rispetto al resto della produzione artistica cinese, solitamente più vicina al raffigurativo o alla pop-art. Ne è nata un’amicizia che ha portato, nel 2004, a una prima esposizione in Svizzera e adesso, appunto, a ‘Landscapes of Identity’, curata dallo stesso Ermotti e da Massimiliano Vitali. Questa esposizione, allo Spazio cielo di Villa Malpensata, presenta 156 opere su carta di riso di varie dimensioni – le più grandi occupano l’intera parete dello spazio espositivo, le più piccole sono di una decina di centimetri –, realizzate tra il 2004 e il 2021 e dipinte a inchiostro e acqua, occasionalmente ricorrendo anche a colori acrilici. Già questa descrizione materiale lascia capire come Yang Xiaojian sia rimasto comunque vicino all’arte calligrafica. Il ripensamento di questa tradizione riguarda lo stile e lo si può vedere, in mostra, in alcune opere che si incontrano già nella prima sala. Il primo, ‘Boulder Pound the Clouds’, mostra alcuni tratti fortemente destrutturati, nei quali si intuisce la presenza di tre ideogrammi (corrispondenti alle tre parole che compongono il titolo) solo perché ci viene spiegato. Il secondo è invece ‘My Mobile Number’ e – ha spiegato Vitale durante l’incontro con la stampa – aveva destato un certo stupore perché, invece di ideogrammi tradizionali, conteneva dei numeri arabi (quelli del numero di telefono dell’artista). Non stupisce che, come ha spiegato Ermotti, le opere di Yang Xiaojian non interessino particolarmente i collezionisti cinesi mentre quelli stranieri, e in particolare gli architetti, siano invece più interessati alla sua produzione.
Le opere di Yang Xiaojian sono, come detto, vicine all’astrattismo. I titoli tuttavia sono spesso precisi e anche un po’ curiosi: ‘Quito Old Town’, ‘Chelsea Hotel’, ‘The US Mexico Border’. Si tratta, ha spiegato Vitali, dei luoghi che hanno ispirato Yang Xiaojian, o meglio che hanno dato il via alla meditazione culminata con la realizzazione del disegno. Non si tratta comunque di indicazioni per l’interpretazione e anzi l’artista è lieto se, in base alle proprie sensazioni, il visitatore propone degli altri titoli.
Quello della contemplazione è una delle cinque parole chiave che compongono il percorso espositivo, raccogliendo le opere in nuclei che seguono la dimensione decrescente delle opere: dopo “contemplazione” abbiamo “concentrazione”, “spazio interiore”, “specchio” e “identità”.