Nasceva 150 anni fa una delle più importanti figure dell’arte del Novecento, che scoprì e lanciò celeberrimi pittori, scultori e romanzieri
L’automobile di Gertrude era stata riparata male e in ritardo, e così il padrone del garage – scusandosi – le disse che era stata colpa dell’operaio che se n’era occupato, un reduce della Prima guerra mondiale che, benché fosse abbastanza dotato nel mestiere, mancava di abnegazione e senso del dovere. «Che ci volete fare, signora? Questa è proprio une génération perdue». Pochi giorni dopo, raccontando l’episodio al giovanissimo Ernest Hemingway, Gertrude commentò: «Quell’uomo aveva ragione, voi ragazzi che siete stati al fronte avete perso la disciplina e la serietà, lo vedo bene nei racconti e nelle poesie che hai scritto e che cerchi di pubblicare: siete soltanto una generazione perduta». Hemingway rimase colpito da quel giudizio e decise che il suo primo romanzo – quello che sarebbe poi diventato ‘Fiesta’ – avrebbe avuto come premessa e filo conduttore proprio la disillusione e la dissolutezza che caratterizzava la gioventù di cui faceva parte.
Gertrude – di cognome faceva Stein – a Hemingway e altri letterati in erba tentava – spesso riuscendoci – di insegnare i segreti della scrittura, suggerendo quali temi privilegiare e lo stile con cui trattarli. Nella Parigi dei primi trent’anni del Novecento, quella era la sua missione: scoprire talenti, cercare di correggerne i difetti, sostenerli economicamente e favorire la valorizzazione e la diffusione delle loro opere. E a farlo era bravissima, non solo poiché era provvista di cultura, intelligenza e buon gusto, ma soprattutto perché – dettaglio fondamentale – era ricchissima.
Gertrude era nata esattamente centocinquant’anni fa a Pittsburgh, una delle principali città industriali degli Stati Uniti. Crebbe però a Oakland, presso San Francisco, dove suo padre, ingegnoso ebreo di origine tedesca, aveva trovato clienti per i suoi rivoluzionari sistemi tranviari, grazie ai quali rimpinguò ulteriormente le fortune familiari. Come i suoi quattro fratelli, Gertrude poté scegliere liberamente cosa studiare, e decise per psicologia e medicina. Presto, però, si accorse che ad appassionarla più di ogni altra cosa era l’arte. E così, insieme al fratello Leo, come lei futuro celebre collezionista, nel 1903 s’imbarcò per l’Europa, mise radici a Parigi e da lì non si mosse praticamente mai più. Anche perché, nella Ville Lumière, aveva conosciuto Alice Toklas – un’altra espatriata americana – se n’era innamorata e con lei aveva messo su casa. Una scelta coraggiosa, non certo facile, specie considerando che parliamo di oltre un secolo fa. Ma Gertrude era fatta così: rivoluzionaria e avanguardista non solo nei gusti artistici, ma anche nel fare alla luce del sole ciò che tutti gli altri erano costretti – dalla morale vigente – a tenere nascosto. E Alice rimase al suo fianco per tutta la vita.
Insieme, nel loro bell’appartamento al 27 di Rue de Fleurus traboccante di opere destinate a diventare celeberrime, le due donne tenevano salotti letterari e artistici molto ben frequentati: fra gli ospiti più assidui, che spesso vi si recavano anche per essere rifocillati, c’erano Pablo Picasso, Henri Matisse, Georges Braque, Juan Gris, James Joyce, T.S. Eliot, Francis Scott Fitzgerald, Ezra Pound, Thornton Wilder, Sherwood Anderson e compagnia cantante, tutta gente allora sconosciuta e che nei confronti di Gertrude, nei decenni seguenti, avrà ciclopici debiti di riconoscenza. Lei per prima infatti aveva apprezzato e comprato i loro quadri, e li aveva fatti conoscere ai più quotati galleristi della capitale. E sempre lei aveva letto, corretto e poi spedito ai suoi amici editori i romanzi che – combattendo contro la fame – i futuri capisaldi di un certo genere di letteratura scrissero durante quell’esaltante e irripetibile stagione.
Gertrude, che sapeva capire al volo se qualcuno fosse dotato o meno di talento, fu dunque il maggior mecenate della Parigi d’inizio ventesimo secolo, e uno dei più importanti dell’intera storia dell’arte. Figura dominante e autorità raramente messa in discussione, per gli artisti finiti sotto la sua ala protettrice – e al tempo stesso stimolante – rappresentava un prezioso biglietto da visita e un ariete capace di buttar giù anche i portoni creduti blindati. Un suo giudizio negativo, per contro, equivaleva al fallimento, praticamente all’impossibilità di trovare una via in campo artistico. Litigi e rotture di amicizie, dunque, furono per lei sempre all’ordine del giorno.
«Miss Stein era molto grossa, ma non alta», scrisse Hemingway in ‘Festa mobile’, libro di memorie sui suoi anni parigini, quando appunto, senza un soldo, era in cerca di editori che dessero uno sbocco alla sua prepotente vocazione e quasi ogni giorno passava a fare un saluto e per scroccare un paio di cicchetti d’acquavite alle due donne così generose. «Mia moglie ed io eravamo rimasti incantati dall’ampio studio con i magnifici quadri», continuava Papa. «Era come una delle migliori sale nel più bello dei musei, tranne che c’era un grande caminetto ed era calda e accogliente e ti davano buona roba da mangiare. Gertrude aveva la corporatura massiccia di una contadina. Aveva occhi bellissimi e un forte viso ebreo tedesco che avrebbe potuto anche essere friulano. E mi faceva pensare a una contadina dell’Italia settentrionale, con le sue vesti, il viso mobile e i bellissimi e foltissimi capelli da immigrata che portava raccolti sulla testa nella stessa foggia in cui li aveva probabilmente portati all’università». Il ritratto di Gertrude è assai fedele, così come quello che, sulla tela, fece di lei Pablo Picasso nel 1906: una rappresentazione ultraplastica, quasi una scultura, un’opera in cui gli esperti hanno rintracciato i primi segnali del passaggio dell’artista spagnolo – ancora in una fase ibrida e piuttosto confusa della sua carriera – verso ciò che sarà poi il cubismo.
Amante dell’arte in tutte le sue forme, la Stein – insieme alla passione per la scoperta e la divulgazione delle opere altrui – coltivò per tutta la vita anche l’ambizione di essere scrittrice a sua volta. E lo fece – se non coi risultati da lei sperati – di certo con grande applicazione ed enorme sicurezza nei suoi mezzi. Grande fan di una prosa scarna e paratattica, fu però più brava a insegnare il mestiere a gente come Hemingway che non a mettere in pratica a sua volta i suggerimenti che dispensava ai giovani. Come poeta non ha lasciato segni troppo evidenti del suo passaggio, tranne i celebri versi ‘Rose is a rose is a rose is a rose’, in seguito ripresi e rielaborati da numerosi scrittori e songwriter. Per quanto riguarda la prova, invece, oltre ai suoi curiosi tentativi di traslare la pittura astratta in forma letteraria, i suoi libri più riusciti sono senz’altro il romanzo modernista ‘The making of americans’ e ‘Lautobiografia di Alice B. Toklas’. Figura fondamentale per l’affermazione di gran parte delle avanguardie del Novecento, Gertrude Stein, nata come detto il 3 febbraio del 1874, morì nel 1946 a causa di un tumore allo stomaco.