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Pieter Paul Rubens tra Mantova e Roma

Un trittico di rassegne tra la Capitale e Palazzo Te, sede di confronto tra il pittore fiammingo e Giulio Romano, fino al 18 febbraio

Pieter Paul Rubens, Achille scoperto tra le figlie di Licomede, olio su tavola, 1630 (a Palazzo Te)
(Museo Nacional del Prado, Madrid)
12 novembre 2023
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‘Rubens e la nascita di una pittura europea’ non è solo il titolo di un trittico di rassegne tra Mantova e Roma, è anche la tesi sottesa all’intera operazione, dai fondamenti peraltro indubitabili. A Mantova, un doppio percorso documenta un momento eccezionale della storia artistica europea secentesca, inducendo al tempo stesso a qualche preoccupato pensiero sull’Europa dei nostri giorni. Ha il suo centro nell’esposizione ‘Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà’, dove si mettono a stretto confronto due protagonisti distanziati da ben tre generazioni: Giulio Romano (1492-1546) e Pieter Paul Rubens (1577-1640), il pittore più acclamato e conteso dell’epoca sua, vale a dire la prima metà del Seicento, quella che registra l’affermazione del Barocco in chiese e corti dell’Europa intera, di cui egli non fu solo un insigne protagonista, ma pure uno degli inventori.

Segue poi a Palazzo Ducale l’esposizione di quanto rimane della straordinaria ‘Pala della Santissima Trinità’, tra le più imponenti e innovative imprese portate a compimento dall’artista tra il 1604 e il 1605 in occasione dell’inaugurazione di quella chiesa, ma poi smembrata e fatta a pezzi durante l’occupazione napoleonica di Mantova (1797) per ricavarne soldi. Contemporaneamente nelle splendide sale della Galleria Borghese di Roma, accanto alle magnifiche sculture che dall’antichità classica arrivano ai gruppi marmorei del Bernini, la mostra ‘Rubens e la scultura a Roma’ indaga le influenze che la statuaria antica e moderna ebbero sui dipinti e disegni di Rubens il quale, mentre copia e studia quelle opere, ne accentua l’energia e il vigore, mettendo così sempre più a fuoco la novità dirompente di quel suo linguaggio che poi incendierà l’Europa. A qual fine tutto questo?


Galleria Borghese
Pieter Paul Rubens, Study of the Torso Belvedere, Purchase, 2001 Benefit Fund, 2002

Viaggio in Italia

Educato tanto nelle lettere quanto nella pittura, Rubens si era formato ad Anversa, nelle Fiandre, nel clima di quell’umanesimo nordico (si pensi a Erasmo) che, nutrito di letture greche e latine, si ispirava ai valori dell’arte e della cultura rinascimentale. Per questo, non appena diventato libero professionista, nel maggio del 1600 parte per l’Italia dove egli pensa di rimanere quanto gli basta per visitare le principali città d’arte e vedere dal vivo (non più tramite incisioni o copie) le opere dei grandi maestri. In realtà ci resterà per quasi nove anni (tornerà ad Anversa nel 1609), di cui ben sei con sede a Mantova. Il fatto è che, dopo la prima tappa a Venezia, quando nell’agosto del 1600 – ancora ammaliato per i tanti Tiziano, Veronese, Tintoretto, Pordenone ammirati nella Serenissima – arriva a Mantova e si presenta alla corte dei Gonzaga, viene assunto dal duca come pittore ‘ritrattista’ di corte, ma con l’incarico di andare in giro per l’Italia e copiare o acquistare opere dei grandi maestri così da arricchirne la ricca collezione. Sarà allora un’immersione profonda nella storia dell’arte italiana colta nella varietà delle sue scuole o regioni; ma il suo primo grande stupore, non appena arrivato a Mantova, furono gli affreschi realizzati da Giulio Romano per le sale di Palazzo Te. E non potrà confrontarsi con lui, attingendo al suo vastissimo repertorio di forme, ma più ancora dalla potenza e sensualità delle sue pitture.

‘Luogo di delizie’

Arriviamo così nel cuore della interessantissima mostra allestita e pensata proprio in rapporto alle sale e agli affreschi di Palazzo Te, fatto costruire a partire dal 1525 dal duca Federico II, figlio di Isabella d’Este e Francesco II, come “villa di rappresentanza” per i sontuosi ricevimenti dei suoi ospiti, ma anche come “luogo di delizie” per i suoi convegni amorosi con l’amante Isabella Boschetti. Egli dà allora incarico a Giulio Romano, pittore e architetto poco più che trentenne giunto a Mantova da Roma nel 1524, di elaborare il progetto e di curarne la realizzazione sia architettonica che pittorica. Inglobando le vecchie scuderie, egli progetta uno spazio architettonico-scenografico di straordinaria ampiezza e modernità che si estende a vista e che riesce a concludere in un anno o poco più (nel 2025 si celebreranno i 500 anni), mentre ci impiegherà quasi dieci anni per portare a termine la realizzazione dei grandiosi affreschi parietali.

Ora Giulio, non per nulla soprannominato Romano, come già Leonardo e Bramante prima di lui, porta con sé nel Settentrione d’Italia, la recente tradizione artistica romana incarnata dal Raffaello delle Stanze Vaticane e della Farnesina, cui lui stesso aveva contribuito come collaboratore di tanto maestro. Se non che, mosso da spirito innovatore e manierista, Giulio va ben presto oltre Raffaello, ne ingigantisce e smuove il naturalismo idealizzato, dinamizza e affolla l’impianto scenico, trascende la compostezza ordinata dei riquadri, invade lo spazio architettonico fino al punto di saturarlo e farlo esplodere: come nella Sala dei Giganti dove l’architettura stessa pare traballare. Tali dinamismo scenico e coinvolgimento dello spazio diverranno poi elementi paradigmatici della cultura barocca grazie proprio al giovane Rubens che ne rimane folgorato e, a sua volta, li intensifica ed esalta in maniera ancor più eclatante. La mostra ne dà conto mettendo in dialogo dipinti di Rubens e affreschi di Giulio Romano. Sotto il tetto di Palazzo Te si consumò dunque la conversione di Rubens che, grazie alla congiunzione della sua formazione fiamminga con l’arte rinascimentale italiana, fece evolvere la sua pittura nella novità di un linguaggio transnazionale che unificò corti e popoli d’Europa.


Pieter Paul Rubens, Alabardiere, Palazzo Ducale di Mantova © Palazzo Ducale di Mantova, Ministero della Cultura