Concepita e sviluppata dall’équipe del Musec, ci siamo chiesti perché in Piemonte piuttosto che in Ticino. Ne discutiamo con il direttore Campione.
Il Giappone è vicino. Ma potrebbe esserlo di più. Da Torino a Lugano ci vogliono all’incirca due ore e tre quarti di macchina. Nel capoluogo piemontese ci siamo arrivati perché la Società Promotrice delle Belle Arti ospita, dallo scorso febbraio, l’esposizione ‘Utamaro, Hokusai, Hiroshige. Geishe, Samurai e la civiltà del piacere’. Verrà da pensare “perché mai andare fin là?”. La ragione sta nella curatela della mostra – prodotta da Skira – che è luganese, più precisamente è un progetto scientifico concepito e svolto dalla squadra del Museo delle Culture (Musec, che collabora con Skira dal 2009), capitanata dal suo direttore Francesco Paolo Campione.
«Non è comune che un museo svizzero porti il suo lavoro fuori dai confini nazionali. Il Musec, dal canto suo, annualmente propone dalle quattro alle sei mostre fuori Lugano e quella di Torino è una delle grandi esposizioni in Europa quest’anno. Basti pensare che fa migliaia di visitatori a settimana», snocciola il direttore.
Il progetto scientifico della mostra è stato interamente curato dalla squadra del Musec: «Il nostro, è un museo al passo con i tempi, in grado di operare una ricerca di qualità. Naturalmente, il lavoro fuori dai nostri confini ci permette anche di guadagnare prestigio e visibilità, nonché un ricavo economico utile ad autofinanziarci». Dal punto di vista delle competenze poi questi progetti aiutano ad ampliare i saperi.
Ma allora perché a Torino e non a Lugano? Questo è il tema della nostra conversazione. Le ragioni – concomitanti – della “migrazione” sono da ricercare nelle misure, che comprendono più prospettive. «Innanzitutto si tratta di una questione di spazio: Villa Malpensata non ha una superficie adeguata alla dimensione della mostra di Torino». Di là di questa motivazione diremmo “fisica”, ve ne sono un paio di natura economica, strettamente interconnesse.
Poco più su si scriveva che finora la mostra ha contabilizzato migliaia di visitatori a settimana, numeri che (data la massa critica locale) non sono possibili a Lugano, così anche le relative entrate. Inoltre, aggiunge il nostro interlocutore, «lo sforzo economico necessario per un progetto adeguato è fuori portata: accollarci una comunicazione costosa, con risultati incerti, è assai rischioso».
La situazione è quella del gatto che si morde la coda, per scriverla alla spiccia, ovvero: non potendo assumersi il rischio di una comunicazione economicamente onerosa, ma che permetterebbe di richiamare e generare un più ampio bacino di utenza, questo rimarrà sempre contenuto e non darà una risposta adeguata alla proposta, non permettendo quindi di guadagnare a sufficienza per poter proporre localmente progetti come quello torinese.
Insomma, a detta del direttore del Musec, ci sarebbe bisogno di «investimenti adeguati per comunicare la città come meta d’arte e di una regia capace di concertare una programmazione all’altezza delle aspettative del grande pubblico». Per fare ciò, sottolinea Campione, occorrono «tempi lunghi, programmi fortemente riconoscibili, qualità perseverante e una visione cosmopolita».
Eccoci alla mostra torinese. Allestita su una superficie di 1’500 metri quadrati, ‘Utamaro, Hokusai, Hiroshige. Geishe, Samurai e la civiltà del piacere’ propone oltre trecento capolavori (per due terzi provenienti dalla collezione del Musec) ed è visitabile fino al prossimo 25 giugno.
L’esposizione immersiva si propone di analizzare l’universo giapponese allestendo un percorso tematico in nove capitoli: si va dalle stampe dei principali maestri dell’ukiyo-e (le “immagini del mondo fluttuante”), come Hokusai, Hiroshige, Utamaro, Kuniyoshi, Yoshitoshi, Sharaku, ad armature di samurai, kimono, maschere teatrali, rare matrici di stampa, sculture in pietra, xilografie erotiche. Manufatti provenienti da prestigiose collezioni: oltre a quella del Musec, da Venezia, Torino, Trieste, Ginevra e private.
©FCM/MUSEC, Lugano
Taira no Kiyotsune suona il flauto al chiaro di luna, n. 50, 1887, sesto mese
Le opere dell’ukiyo-e, quanto meno alcune di loro, sono conosciute al grande pubblico. Tuttavia meno noto è il processo di realizzazione di queste stampe xilografiche policrome: la mostra si propone anche di dare una breve introduzione sulla storia e sulla tecnica di stampa; ampliando quindi alle tematiche tradizionali dell’ukiyo-e: dalle immagini di fiori e uccelli (kachōga) ai paesaggi, queste ultime rappresentazioni incentrate sui luoghi celebri della tradizione letteraria.
Attraverso l’accurata ricostruzione, l’intento è dare a fruitori e fruitrici la possibilità di scoprire la civiltà del piacere, “una peculiare stagione storico-artistica del Giappone – il periodo Edo (1603-1868) – in cui il paese, pacificato all’interno dei propri confini e stretto in una politica di isolamento dal resto del mondo, portò la ricca classe dei mercanti, impossibilitati a comprare beni fondiari, a dedicarsi ai piaceri dell’esistenza, come gli spettacoli del teatro kabuki (spettacolo popolare per eccellenza), la frequentazione delle geishe nelle case da tè e l’acquisto di straordinarie opere d’arte”, descrive la presentazione.
Per informazioni aggiuntive sull’esposizione e i suoi contenuti, consultare: www.hokusaitorino.it.