Dimostrazione di una continuità di concezione dell’arte che lega uomo e natura in un lungo sodalizio, allo Spazio Arauco a Minusio fino al 30 aprile
Riaperto di recente ad opera di Monica Zentilli, dopo la morte lo scorso anno di suo marito Rudy Müller, lo Spazio Arauco di Minusio (via dell’Acqua 27) accoglie fino al 30 aprile una serie di lavori su carta e sculture di François Lafranca, personaggio ben noto per la raffinata qualità delle carte naturali da lui prodotte nella sua cartiera di Collinasca, in Valle Rovana, e per la sua collaborazione con rinomati artisti all’origine delle Editions Lafranca (1966-1986): da Jean Arp e Hans Richter a Ben Nicholson, Enrico Castellani e Chillida, da Dorazio a Italo Valenti e Arturo Bonfanti.
Due nature – quella dell’esperto artigiano e dell’artista – che in lui hanno sempre serenamente convissuto e tuttora convivono (come era del tutto normale in tempi remoti) dal momento che per ottenere determinati risultati – come quelli visibili in mostra – occorrono anche certi materiali, specifiche conoscenze tecniche e indubbio mestiere, per quanto si sappia che l’arte va oltre il materiale, la tecnica e il mestiere. All’arte si chiede di più: di farsi pure pensiero, di incarnare una visione del mondo, di esprimere una concezione o una modalità dell’esistere.
Ne sono prova le sue opere su carta, sia che si tratti di fotografie di Castagni e Olivi centenari e contorti o di ammassi di Rocce scolpite dal vento e corrose dal gelo: sono incontri che marcano il cammino, sono sculture viventi, veri e propri monumenti plasmati dalla natura; testimoni del tempo non meno della Torre di San Fili o della Torre mozza: resti imponenti di un passato anche tragico che si legge nelle loro ferite e macerie. Storia della natura e storia delle civiltà vengono così a ritrovarsi all’interno di una stessa visione, accomunate da un medesimo destino.
Lo stesso deve dirsi per le sue silografie e sculture ottenute con ceppi, pietre e massi. Non si serve dell’elemento materiale in funzione strumentale, gli dà invece voce, ne esalta la naturalità facendolo diventare co-protagonista della sua arte. Lo si veda nel grande Gnomone: una pietra naturale di anfibolite sezionata a mostrarne il cuore e direzionata verso il sole: per farne segno di una unità più vasta e universale che relaziona la terra e il sole, gli equinozi e i solstizi, il vicino e il lontano, le antiche civiltà e quella nostra. Perfino i colori usati nelle carte sono pigmenti naturali ottenuti macinando pietre provenienti da disparate regioni, dal Veneto alla Siberia: il blu deriva dall’azzurrite, il giallo da una pietra dei Grigioni, il grigio dall’ardesia…
Le quaranta opere esposte nello Spazio Arauco sono la dimostrazione di una continuità di concezione dell’arte che lega uomo e natura in un sodalizio che si prolunga da un quarantennio; molto diverse tra loro per varietà di tecniche (xilografie, incisioni, fotografie, pitture e sculture) ma unite da uno stesso spirito che le attraversa: perché in ogni sua opera l’artista non procede mai da solo, ma sempre dialogando, interagendo o servendosi di elementi della natura cui dà spazio e parola perché parlino con la loro voce in sintonia con quella sua (fino al 30 aprile, aperto tutte le domeniche dalle 11 alle 13 e giovedì dalle 15 alle 18).