Un piccolo ma prezioso dipinto di ‘Dionisio il fiammingo’ è uscito dai caveau dello Swiss Logistics Center per le feste
Il suo vero nome è Denys Calvaert, ma conviene chiamarlo “Dionisio il fiammingo”, come questo artista, nato ad Anversa intorno al 1540, venne ribattezzato a Bologna dove, dopo aver vissuto anche a Roma, trascorse l’ultima parte della sua vita. È in quella città che, verosimilmente verso la fine del Cinquecento, dipinse l’Annunciazione che troviamo esposta, fino al 9 gennaio, nell’atrio del m.a.x. museo di Chiasso, liberamente accessibile al pubblico per il periodo delle feste. Il proprietario dell’opera, il collezionista Enrico Bianchetti, ha infatti deciso di farla uscire dai caveau dello Swiss Logistics Center di Chiasso, partner insieme a Helvetia della seconda edizione di questa speciale Esposizione dell’Avvento accessibile gratuitamente – il consiglio, ovviamente è di non fermarsi a questo dipinto ma di visitare anche la bella mostra dedicata alla ferrovia tra arte, grafica e design che il m.a.x. museo ospita fino ad aprile.
L’anno scorso per l’Esposizione dell’Avvento c’era un Rubens; quest’anno con Dionisio il fiammingo abbiamo un «maestro minore» come lo ha definito la direttrice del m.a.x.museo Nicoletta Ossanna Cavadini. Minore ma non per questo poco interessante: a Bologna, nel contesto della Controriforma e delle nuove sensibilità per quanto riguarda l’arte devozionale, Denys Calvaert ha fondato una sua scuola d’arte distinguendosi per la resa della luce e la cura dei dettagli. Aspetti che vediamo in questo piccolo dipinto con la sua sontuosa cornice barocca. Iniziamo dalle dimensioni: si tratta di un’opera realizzata per un “uso privato”: spesso capitava che una famiglia benestante fosse interessata ad avere nel proprio palazzo una versione più piccola, realizzata dallo stesso artista, di un’opera più grande destinata a uso pubblico. Questa composizione trova un suo diretto riscontro in un’altra Annunciazione che si trova nell’archivio dello storico dell’arte Federico Zeri e da lui attribuita a Denis Calvaert.
La ricchezza del committente privato è testimoniata dal materiale scelto: il dipinto non è infatti stato realizzato su tela, ma su una più costosa lastra di rame, utilizzata per dare maggior brillantezza ai colori della pittura a olio.
Si è accennato ai dettagli della composizione del dipinto che, come sempre nell’arte sacra, rimandano a una simbologia che oggi potrebbe essere meno immediato cogliere. L’abito di Maria, ad esempio: ha un vestito rosso, colore che rimanda a una dimensione terrena, avvolto da una veste azzurra che simboleggia invece l’aspetto spirituale dell’essere stata scelta quale madre di Cristo. Nel dipinto la vediamo intenta a leggere quando viene interrotta dall’arrivo dell’Arcangelo Gabriele che le annuncia, appunto, il concepimento verginale di Gesù. Maria ha lo sguardo abbassato sul giglio bianco che l’angelo tiene nella mano sinistra, riferimenti all’umiltà e alla purezza. La castità, invece, è raffigurata dalla mano destra di Maria che chiude sul petto il velo che le scende dalle spalle.
Restando alle mani – che di fatto compongono la scena –, quella sinistra di Maria è posata sul testo che sta leggendo, verosimilmente un testo sacro, mentre la mano destra dell’angelo punta il dito verso l’alto, dove troviamo una nube incorniciata da due angioletti dalla quale escono una luce abbagliante e una colomba bianca dirette verso Maria, simbolo dello Spirito Santo (un tema caro alle opere di Dionisio il fiammingo). Sulla destra, attraverso un arco si vede uno scorcio del Palazzo ducale di Urbino, non solo un omaggio al maestro Federico Barocci ma anche un’attestazione della scuola artistica dell’autore.
Da notare la precisione nel disegnare le cuciture dell’abito dell’Arcangelo Gabriele o i particolari del baldacchino a sinistra.