Arte

Il giardino cintato riapre il museo di Villa dei Cedri

‘Hortus conclusus’ è il tema della mostra che si aprirà il 3 giugno a Bellinzona. Un confronto tra temi classici e arte contemporanea

François Malingrëy, Le Jardinier aux fleuries gisantes (Photo Pierre Maulini)
1 giugno 2020
|

L’idea di Marco Costantini, curatore del Musée de design et d'arts appliqués contemporains di Losanna al quale si deve l'esposizione con cui, mercoledì 3 giugno, riaprirà il museo di Villa dei Cedri a Bellinzona, è semplice e interessante: prendere due immagini fondamentali, per non dire fondative, dell'Occidente e vedere come vengono lette e trasfigurate da alcuni artisti contemporanei. Le due immagini sono da una parte il giardino cintato medievale, l'Hortus conclusus che fa anche da titolo dell'esposizione, luogo del silenzio e delle piante medicinali collegato all'immagine della Madonna; dall'altra Zeus che, mutato in toro, rapisce Europa e dal Libano la porta in Grecia, mito che rimanda ai rapporti tra Occidente e Oriente, allo scontro e incontro tra culture.

Queste le coordinate dell'esposizione che, più che tracciare ponti tra antico e moderno, pare volere cercare le radici del contemporaneo, riunendo, negli spazi di Villa dei Cedri e nel parco (cintato) che la circonda, stampe del XV secolo (tra cui una di Albrecht Dürer) e opere contemporanee, realizzate perlopiù da giovani artisti. In alcuni casi la connessione tra queste due mondi è diretta, per quanto forse rifiutata più che affermata: è il caso di La Vierge à l'enfant dei francesi Pierre e Gilles, nel quale la tradizionale iconografia della Madonna col bambino viene trasfigurata con l'immagine di Hafsia Herzi, attrice francese di origine tunisina da parte di padre e algerina da parte di madre, che non si trova nell'idilliaco giardino della tradizione, ma in una sorta di banlieu, circondata non da angeli ma da coni spartitraffico. O ancora Il vestito della regina di Emma Lucy Lindford, quasi un trittico con il vestito della Madonna che esce dallo spazio dell'opera per invadere la sala.
Altra opera dove il legame con la tradizione è immediato, e la scultura senza titolo di Jean Bedez, un toro bianco realizzato con le proporzioni classiche ma senza l'equilibrio e la stabilità delle sculture antiche.

In altri casi, quel legame tra il mito antico e la contemporaneità è sfumato, lasciato all'interpretazione del visitatore. È il caso, questo dell'installazione Who Fears the Other dell'artista losannese Sandrine Pelletier. La frase che fa da titolo all'opera rimanda a una poesia scritta dopo l'uccisione di 21 cristiani copti in Libia, avvenuta nel febbraio del 2015, e la troviamo scritta con l'acido su alcuni specchi. O ancora la videoinstallazione As the Coyote Flies di Adrien Missika che – leggiamo nelle note del curatore – rimanda alla migrazione della farfalla monarca dal Canada al Messico e all'ambivalente simbologia del coyote, animale del potere militare ma anche sovvertitore delle convenzioni sociali. Nel filmato, il coyote prende la forma di un drone che vola sopra il confine tra Messico e Stati Uniti.
Sempre a tema confine, nel parco della villa troviamo una linea di gesso, netta da un lato e sfumata dall'altro: è Limit of control di Annaïk Lou Pitteloud. E già che siamo nel parco, difficile non notare la grande statua Le Jardinier aux fleurs gisantes di François Malingrëy.