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‘Tutta questa vicenda sembra una grande banalizzazione’

Il paragone tra i due falli di plastica e i gonfiabili da piscina criticato da chi si occupa di prevenzione e parità di genere.

In sintesi:
  • Lepori (Io L'8 Ogni Giorno): ‘Così si sminuiscono certi comportamenti’
  • Lodi (Pro Juventute): ‘Serve un cambiamento di rotta’
Le motivazioni del procuratore Passini fanno discutere
(Ti-Press)
31 dicembre 2024
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«Tutta questa vicenda, e in particolare la spiegazione che i due falli di plastica sarebbero simili a gonfiabili da piscina, è sintomatica. Rappresenta lo sminuire certe azioni e comportamenti. Non sono una giurista ma questa motivazione, quella appunto dei gonfiabili da piscina, mi sembra una grande banalizzazione». Per Angelica Lepori del collettivo Io l’8 Ogni Giorno le motivazioni dal procuratore straordinario grigionese Franco Passini, contenute nel decreto con cui ha scagionato il presidente del Tribunale penale cantonale Mauro Ermani dal reato di pornografia, lasciano l’amaro in bocca. L’immagine – uno dei capitoli più controversi del ‘caos Tpc’ – era stata inviata nel febbraio del 2023 da presidente del Tpc Ermani, via WhatsApp, alla segretaria presunta vittima di mobbing da parte di una collega. Un gesto che gli allora giudici del Tribunale penale Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti avevano segnalato/denunciato in luglio. Secondo i due giudici si sarebbe trattato di un chiaro caso di esposizione di rappresentazioni pornografiche ai sensi del secondo capoverso dell’articolo 197 del Codice penale. La segnalazione, come detto, è però caduta in un nulla di fatto con Quadri e Verda Chiocchetti che, proprio per la loro denuncia, sono stati sollevati con effetto immediato dal ruolo di giudici. Una decisione, presa dal Consiglio della magistratura secondo cui “la denuncia di un collega per un reato che sapevano non sussistere è inaccettabile e inconciliabile con la funzione di magistrato”.

Per Lepori «certe modalità di agire, quelle appunto di inviare immagini che si riferiscono alla sfera sessuale, rappresentano in ogni caso uno modo di esercitare il potere nei confronti di donne che si trovano in una posizione lavorativa subalterna». E qui si torna alla banalizzazione. «Spesso chi sta intorno giustifica questi comportamenti. Si riduce il tutto a ‘era una battuta’ o ‘non si è capito il senso di quello che è stato detto’. È qualcosa che succede un po’ ovunque, in molti settori. È però preoccupante – continua la membra di Io l’8 Ogni Giorno, un gruppo di donne apartitico e aconfessionale che lotta contro le discriminazioni di genere e il patriarcato – che questo ragionamento sia contenuto anche all’interno di un decreto. Un documento ufficiale della magistratura che dovrebbe tutelare i diritti delle persone, specialmente quelle più fragili. La giustizia dovrebbe essere al di sopra di tutte queste modalità di relazionarsi che troviamo nella nostra società». Continua Lepori: «La molestia non è tanto quello che uno fa, ma come viene percepita da chi la riceve. Ho poi l’impressione che in questa vicenda, come anche in altri contesti, si sia voluto punire chi ha cercato di portare alla luce la vicenda».

Nel decreto Passini ricorda anche che “l’immagine in parola potrebbe, tuttalpiù, essere considerata come molestia sessuale ai sensi dell’art. 198 cpv. 2 CP. Tale reato è tuttavia perseguibile solamente su querela di parte lesa. Nella fattispecie non risulta che la destinataria del messaggio, entro il termine di tre mesi di cui all’art. 31 CP, abbia sporto querela contro Mauro Ermani. Per completezza – si legge sempre nel decreto – va in questo contesto rilevato che l’art 198 cvp. 2 v-CP, nella versione applicabile al momento dei fatti (dunque antecedente il 1°luglio 2024), non sembra essere comunque adempiuta, trattandosi, semmai, di una cosiddetta ‘molestia visiva’, non contemplata nel (vecchio) testo di legge”. Tre mesi per sporgere querela che per Lepori «sono un periodo decisamente limitato. In generale possiamo affermare che si tratta di tempi molto corti. La Legge non tutela quindi come dovrebbe le vittime nella loro possibilità di denunciare e dire come sono andate le cose. Anche perché di solito è sempre chi si trova in una posizione di potere a esercitare una molestia, e questa rende più lento e difficile il processo di segnalazione».

«Questa vicenda mi porta a riflettere su quali siano gli elementi che sdoganano questo modo di pensare da parte di una persona con così tanta responsabilità. Modo di pensare che poi il comune cittadino, mutatis mutandis, finisce poi, a sua volta, a esercitare quotidianamente nel suo relazionarsi con l’altro. Quali sono i fondamenti su cui la nostra società basa decisioni tanto importanti?». Per il responsabile regionale di Pro Juventute Ilario Lodi «è assolutamente necessario un cambio di rotta. E lo dico da persona che si occupa di educazione. È un’operazione che richiede del tempo, ma non ci possiamo sottrarre».