La Camera di commercio pubblica la sua inchiesta congiunturale 2024/2025. Servizi bene, meno l'industria. E sui Bilaterali III: ‘Serve più chiarezza’
Bene il settore dei servizi, meno quello secondario, cioè l'industria. In un contesto condizionato da «molteplici incertezze, tra le peggiori nemiche degli imprenditori», che porta quindi a «un contenuto peggioramento rispetto al 2023». Più nel dettaglio: per il 36% delle aziende l'andamento è stato sufficiente (erano il 40% lo scorso anno) e per il 34% buono (erano il 35%).
Come succede da ormai 15 anni, sotto l'albero di Natale della Camera di commercio, dell'industria, dell'artigianato e dei servizi ticinese (Cc-Ti) arriva l'inchiesta congiunturale, «una fotografia presso 268 aziende del territorio, che occupano in totale 14'035 lavoratori in Ticino» sottolinea il presidente Andrea Gehri. Una fotografia in chiaro scuro: «Incertezze tante, certezze poche e parecchie difficoltà. Basti pensare al calo delle domande di costruzione, una riduzione che non sarà indolore». Insomma, c’è chi sta peggio per carità, ma tira brutta aria per chi cerca di far impresa «e in più è confrontato con un problema reale di iper regolamentazione che imballa tutti i settori. La legge edilizia è ferma da anni, il mondo viaggia a 100 km/h e noi a 35. Noi regolamentiamo, gli altri lavorano – tuona Gehri rispondendo a ‘laRegione’ –. Se non poniamo rimedio a questa situazione andiamo dritti contro un muro, e gli imprenditori saranno sempre più in difficoltà». Detta breve: «Lavorare tutti di più, e lamentarsi di meno».
Già, perché se oggi è nuvoloso per il 2025 la tendenza dell'inchiesta congiunturale è simile a quella dell'anno che sta finendo, con maggiori difficoltà per il settore secondario rispetto a quelle del terziario». Il vicedirettore della Cc-Ti Michele Merazzi snocciola i numeri, partendo dall'andamento degli affari nel 2024 che «possiamo definire positivo, ma che ha subito una leggera flessione. La prima spiegazione è che ci sono molte aziende che esportano, e soffrono l'attuale crisi in Germania, soprattutto per quanto riguarda il settore MEM. Il Ticino denota una certa stabilità rispetto ad altri cantoni monosettoriali, e rileviamo ancora una volta quanto sia importante la diversificazione della nostra economia, che negli anni ci ha permesso di reggere a diverse crisi e cambiamenti strutturali». Per l'anno prossimo, continua Merazzi, «nel settore della costruzione si inizia a intravedere un rallentamento, anche nell'occupazione con un calo del 4% degli addetti ai lavori». Nel secondo trimestre, invece, «è previsto un miglioramento grazie anche alla speranza che le crisi geopolitiche internazionali si stabilizzino e che l'impatto della nuova presidenza Trump negli Stati Uniti e la questione dei dazi doganali non colpisca troppo chi esporta».
Nell'ambito degli investimenti, «ne registriamo una diminuzione nell'industria mentre sono in leggera crescita commercio e servizi». Un messaggio importante per Merazzi, perché «investire nei servizi vuol dire investire nei processi, alcuni introducono l'Intelligenza artificiale nelle attività quotidiane e nella fase iniziale comporta esborsi notevoli». Nel 2025 l'inchiesta congiunturale mostra che «la tendenza sarà a investire leggermente di meno, simbolo della nostra imprenditoria lungimirante che dà molta importanza alla stabilità».
Dei riflessi di tutto ciò nell'ambito non indifferente dei posti di lavoro parla il direttore della Cc-Ti Luca Albertoni, sgombrando il campo. Vero, «rispetto agli altri anni la riduzione del personale è maggiore e soprattutto nel settore secondario». Però c’è un però, nel senso che «comparando questo dato con quelli ufficiali della disoccupazione e del lavoro ridotto, che non sono aumentati in maniera particolare, la conclusione che traiamo è che si tratta di misure puntuali che riguardano singole persone e non licenziamenti di massa». Una disdetta di lavoro «viene contata come riduzione del personale, ma non si traduce in alcun trend». Tutto ciò, ribadisce Albertoni, è confermato dalle tendenze per il 2025: «La volontà di ridurre il personale è molto minore, quindi per noi si tratta di un assestamento quest'anno che porterà l'anno prossimo a tornare a dati fisiologici e alla normalità».
Ciò detto, Albertoni torna su un suo grande cavallo di battaglia. Vale a dire «molto bene parlare del locale, ci mancherebbe. Ma si stanno perdendo di vista i cambiamenti epocali in atto nel mondo, si discute di cose molto meno importanti e avere più di un occhio di riguardo per osservare e comprendere cosa succede attorno a noi sarebbe utile». La Germania in crisi, la rivoluzione tecnologica, l'intelligenza artificiale, il cambiamento nei processi, le nuove professioni e quindi l'aggiornamento delle formazioni, certo. Ma più banalmente, gli Accordi bilaterali III con l'Unione europea di cui venerdì si dovrebbe sapere qualcosa in più. Bilaterali III che sono stati oggetto di buona parte dell'inchiesta congiunturale, e che Albertoni sintetizza così: «Per le aziende è difficile giudicare la situazione. C’è un massiccio sostegno a una diversificazione rispetto all'Ue, non per ostilità ma perché fa parte della vita imprenditoriale andare a cercare mercati nuovi».
Sulla questione dazi, e quindi con l'occhio rivolto agli Stati Uniti, «vero, siamo più cari di altri concorrenti, ma pur preoccupandoci se ci fosse un rincaro non sarebbe facile trovare la stessa qualità che offrono i prodotti svizzeri». Secondo l'indagine, l'impatto degli attuali Accordi bilaterali con l'Ue viene valutato in maniera positiva dal 42% delle aziende, mentre per il 39% non vi è stato alcun impatto economico diretto. La firma del terzo pacchetto di Bilaterali, sia come sia, per il 48% rafforzerebbe la cooperazione tra i due partner, ma per il 46% imporrebbe obblighi alla Svizzera. Sempre detta con Albertoni, «lo diciamo senza remore: saremo sempre a favore dei Bilaterali come strumento, ma è giusto evidenziare le preoccupazioni e sarebbe sbagliato negarle». Nel mondo, in Europa, in Svizzera. Va da sé, anche in Ticino.