Ticino

‘Per il 2024 tanta stabilità con qualche leggera frenatina’

La Camera di commercio presenta l'Inchiesta congiunturale: meno investimenti, ma senza impatti sul personale. E si parla di intelligenza artificiale

In sintesi:
  • Tra pandemia, guerre e calo del potere d'acquisto le aziende ticinesi sembrano tenere
  • Voce dolente gli investimenti: a pesare sono le incertezze e la situazione globale, soprattutto per chi lavora con le esportazioni
Luca Albertoni, direttore della Cc-Ti
(Ti-Press)
18 dicembre 2023
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Una «certa stabilità dell'andamento degli affari», indicazioni di leggeri rallentamenti – meglio: «Qualche piccola frenatina» – nel 2024 con possibilità di registrare meno investimenti, «stabilità nell'occupazione», sempre più uso del digitale e, al contempo, l'impatto dell'intelligenza artificiale che viene previsto come «limitato, senza impatto sul personale» ma che merita un ampio dossier a parte.

È questo in soldoni il risultato dell'Inchiesta congiunturale 2023-2024 condotta dalla Camera di commercio, dell'industria e dell'artigianato ticinese (Cc-Ti) presso oltre 300 aziende a essa affiliate e presentata alla stampa questa mattina.

‘Previsioni dell'anno scorso rispettate’

«Si sono raggiunti i risultati attesi lo scorso anno, per un ottimista nato come me è già soddisfacente vedere dei segni positivi» commenta in entrata il direttore della Cc-Ti Luca Albertoni. E laddove nelle varie domande poste alle aziende la risposta è stata tra il negativo e il mediocre, «si tratta di situazioni contingenti e specifiche delle singole aziende, non di sistema: questo è l'aspetto più importante».

Insomma, tra pandemia, guerre, calo del potere d'acquisto le aziende ticinesi sembrano tenere. E «stabilità» è il termine più utilizzato da Albertoni stesso, vuoi perché riflesso delle risposte giunte dalle ditte interpellate, vuoi perché anche a un ottimista nato serve la speranza che il flipper di questi ultimi anni non porti altre brutte sorprese a livello internazionale. E, infatti, «senza cataclismi ulteriori dovremmo poter avere un 2024 in continuità con l'anno che sta per finire, dove registreremo qualche frenatina già emersa come nel settore dell'edilizia. Resta stabile il margine di autofinanziamento, che è un fattore estremamente importante per valutare lo stato di salute di un'azienda, e – sottolinea Albertoni – dopo la pandemia non è un risultato da poco, i timori che molti esaurissero le proprie riserve o si indebitassero oltremodo c'erano: non sembra essere stato il caso».

‘Investimenti in calo, ma per ora non ne farei un dramma’

Detto dell'edilizia, un'altra nota dolente – pardon, «frenatina» – si registra alla voce investimenti. Che sono previsti in calo. Se nel 2023 sono tornati ai livelli pre-Covid, con il 46% delle ditte che hanno investito nella propria attività portando il Ticino ad avere dei dati importanti rispetto ad altri cantoni, la musica l'anno nuovo dovrebbe essere un po‘ più stonata. A pesare «sono le incertezze e la situazione globale, soprattutto per chi lavora con le esportazioni» premette Albertoni, ma l'Inchiesta della Cc-Ti parla chiaro: le aziende pronte a investire, a oggi, passerebbero dal 46 al 42%. «Non ne farei un dramma», precisa il direttore della Camera di commercio: «È un calo fisiologico, c’è un previsto rallentamento nell'ambito delle costruzioni e sono soprattutto le Piccole e medie imprese a segnalare questa situazione. Che va tenuta d'occhio».

Ad ogni modo, il calo degli investimenti non dovrebbe colpire il personale: «Anche qui la parola d'ordine è stabilità, pure in caso di rallentamento non è prevedibile un impatto sull'occupazione. Alcune aziende hanno difficoltà puntuali, altre come abbiamo visto anche recentemente hanno delocalizzato. Ma non è un fenomeno sistematico, sono singole aziende che magari confrontate col franco forte decidono di percorrere altre strade. Ma, anche in questo caso, non è un problema sistemico». Anzi, riprende il vicedirettore della Cc-Ti Michele Merazzi: «Vediamo l'arrivo di numerose aziende che scelgono la Svizzera e il Ticino per insediare qui la propria base».

Ed è così che tra una stabilità auspicata e prevista, le relazioni con l'Unione europea che continuano ad avere alti e bassi che si riflettono in alcuni settori – «l'esportazione dei prodotti metallurgici è sottoposta a un contingente, noi siamo in quello degli Stati terzi: quando viene esaurito, si comincia ad applicare dazi pesantissimi» – si passa all'elefante nella stanza: l'intelligenza artificiale.

‘Digitalizzazione acquisita, l'intelligenza artificiale meno’

È Merazzi a rimarcare, infatti, che se «la digitalizzazione ormai sembra acquisita, tocca adesso all'intelligenza artificiale». Ma i dati che sono presenti nell'Inchiesta congiunturale non lasciano così tranquilli. Perché finché si parla di trasformazione digitale è tutta festa: «Chi non lo faceva prima della pandemia ha cominciato adesso, non si tratta più banalmente di siti internet o e-commerce ma proprio di cambiare la visione aziendale, un aiuto nella semplificazione dei compiti e per migliorare la produttività riducendo i costi». E, aggiungendo la ciliegina, «per il 71% delle aziende questa trasformazione digitale non sostituirà la manodopera».

Quando si passa però all'intelligenza artificiale, si diceva, cambia qualcosa. Già, perché «l'uso sistematico – spiega Merazzi – coinvolge solo il 23% delle aziende. Sono strumenti che cominciano a far capolino nelle aziende, soprattutto nel medtech». Ma per chi non usa ancora l'intelligenza artificiale, che prospettive ci sono? Siamo al punto: «Il 9% delle aziende intende cominciare entro i prossimi 12 mesi, il 31% entro due o tre anni mentre il 60% non prevede nemmeno di cominciare a usarla». E perché? «Nella stragrande maggioranza dei casi, parliamo del 67%, si tratta di un settore di attività non interessato a questo ambito: bisogna sensibilizzare, far conoscere questo mondo e poi tocca all'azienda fare la sua libera scelta: ma le innovazioni difficilmente si possono frenare, vanno piuttosto convogliate e indirizzate al meglio», precisa Merazzi.

E Albertoni prende la palla al balzo: «Nella risposta a questa domanda se sommiamo la mancanza di personale qualificato, di conoscenza degli strumenti e di tempo arriviamo a percentuali alte: si tratta di una sfida molto importante, che solleva una questione generale sulla formazione nel mondo del lavoro che va tematizzata, discussa, e noi lo facciamo assiduamente con la direttrice del Decs Marina Carobbio».

Sgombrato il campo sull'impatto dell'intelligenza artificiale sulle persone in carne e ossa – i lavoratori – con il 90% delle aziende che risponde come non avverrà una sostituzione, per la Camera di commercio la questione della formazione resta centrale: «Bene che Supsi e Usi abbiano cominciato a creare delle formazioni apposite per i bisogni futuri, ma bisogna sensibilizzare sempre di più anche nell'ambito scolastico». Conosci il tuo nemico prima che ti sconfigga.