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Storie da un approdo dal quale ripartire

Nel nuovo numero di ‘Vivavoce’, tra strettoie d’esclusione e slarghi d’inclusione, i vissuti di chi ha incrociato le attività dell’impresa sociale di Sos

(Ti-Press)
30 dicembre 2024
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“L’ultima immagine che mi porto dentro del Cile sono le Ande. Viste dal cielo, in aereo. Tutte coperte di neve. Era la prima volta che volavo”, ricorda Hedwig. E, facendo un primo ponte tra qua e là, afferma: “La Svizzera è per me un luogo che mi ha dato gli strumenti di cui avevo bisogno per la mia crescita personale. Uno di questi strumenti è stata la mia formazione professionale. Arrivare in un Paese dove non sai la lingua e non sai come funziona non è facile. Sono arrivata da Conceptión, città della musica. La Svizzera è un Paese molto silenzioso”. Apprendista cuoca Afc al terzo anno di formazione presso l’Hotel-Ristorante La Perla di Sant’Antonino, inizia a narrare così il proprio cammino tra “slarghi d’inclusione e strettoie d’esclusione” – scrive Baran Gökpinar, autore dell’articolo a cui Hedwig ha affidato il proprio racconto –, nel secondo numero di ‘Vivavoce’, rivista dell’impresa sociale ‘Sostare’ di Sos Ticino che dal 2015 si occupa della gestione del ristorante Casa del Popolo a Bellinzona e organizza percorsi di inserimento e accompagnamento alla formazione e lavorativi con l’obiettivo di favorire l’integrazione di persone senza occupazione e in situazione di vulnerabilità.

Per caso, per lavoro o per necessità

Quella di Hedwig è una delle numerose storie che compongono il mosaico di ‘Vivavoce’, quest’anno dedicato al tema dell’inclusione – anche in relazione con il suo contrario – nei contesti del lavoro, della formazione e della società. O per dirla con le parole di Pelin Kandemir Bordoli, direttrice dell’impresa sociale, la rivista accoglie “i diversi sguardi, vissuti ed esperienze di chi ha incrociato, per caso, per ragioni professionali o per necessità le attività di Sostare”.

‘Punto di riferimento ricreativo e sindacale’

Il primo incontro è con Arrigo, fedelissimo cliente del ristorante, ex collaboratore della Posta in pensione e sindacalista, per il quale da giovane la Casa del Popolo era un ritrovo ricreativo. “Vi si facevano i Carnevali, c’era il foyer dove facevano le feste danzanti e c’erano anche il bowling e il cinema”, rammenta, intervistato da Joel Rodriguez (che, come gli altri autori dei testi, è collaboratore di Sostare). Un luogo per lui divenuto col tempo punto di riferimento anche per assemblee sindacali, cene annuali e dove “aiutavamo le persone a prepararsi all’esame per lavorare in Posta”, dice mettendo in risalto il ruolo del lavoro nell’impegno per l’inclusione sociale.

‘Ho fatto fatica a tornarci per anni’

Voltando alcune pagine c’è Guido, da anni cameriere alla Casa del Popolo, che ripercorre la ricerca della sua strada professionale e il coraggio per superare le difficoltà legate alla perdita di lavoro e a episodi di discriminazione per il suo orientamento sessuale: “Non c’erano mai stati problemi finché non mi hanno visto con il mio compagno di allora. Da quel momento in poi tutto è cambiato nei miei confronti. Non andava più bene niente fino a sentirmi dire: ‘Lei non è più adatto a questa azienda’. È stata parecchio dura da digerire”. Alla domanda di Joel su cosa significhi per un bellinzonese lavorare nello storico ristorante, Guido risponde: “Venivo già da bambino insieme a mio nonno (...) passava a prendermi a scuola e poi ci fermavamo alla Casa del Popolo a bere qualcosa e il lunedì mi portava a comprare un giocattolo in città. Quando mio nonno è morto ho fatto fatica a tornarci per diversi anni, era il suo bar preferito. Quando penso a lui e al nostro legame con la Casa del Popolo, penso che sarebbe fiero di me, se mi vedesse ora”.

‘Un turbinio di pensieri in crescita’

Risultato di un’attività sul tema emozioni svolta nel quadro della Formazione settoriale accompagnata (un programma di preparazione all’apprendistato) sono invece le parole di Sweeta, 23enne di origine afghana, che – evidenzia la curatrice del testo Elena Spedicato – raccontano quanto il suo sentirsi sopraffatta dai pensieri e dalla paura del giudizio l’abbia portata ad autoescludersi e poi alla ricerca di aiuto: “Overthinking: è il sentimento più forte, strano e sgradevole che ho avuto finora. Non l’ho mai avuto prima, sta crescendo dal momento in cui ho imparato il significato della vita, dal giorno in cui sono diventata migrante. Tutto il giorno il cervello non sosta un attimo e durante la notte sogna, il cervello diventa stanco”.

Un trascorso caratterizzato dalla migrazione è anche quello Virginia, originaria di Santo Domingo, che lavora nell’ambito dell’economia domestica presso la Casa del Popolo: “Per via della mia età ho ricevuto tanti ‘no’ quando mi sono candidata per un impiego. Ogni risposta negativa che ho ricevuto mi ha buttata giù (...) Da quando sono in assistenza (da tre anni) l’idea di tornare a Santo Domingo mi perseguita. Mi sento scomoda a dover chiedere gli aiuti qui. Ve lo dico, non è bello”. Tuttavia, specifica nella conversazione con Olivia, “sento che c’è una Virginia ticinese in me”.

‘Parte di un nuovo cammino’

A questo intersecarsi di strade si sommano molti altri percorsi di vita, tra cui quelli di docenti, responsabili della formazione e diversi altri professionisti. Vive voci a testimonianza di un lavoro corale che permette a persone in difficoltà di trovare un porto sicuro in cui far fiorire le proprie potenzialità e da cui poter ripartire con qualche chiave in più per aprire le porte di un mondo spesso ancora troppo chiuso su sé stesso. “Questo piatto mi racconta di quanto possa essere creativa e inclusiva una preparazione in cucina – dice alla fine Hedwig, la ragazza proveniente dalla città della musica, riferendosi alla preparazione che farà parte del suo lavoro per prendere il diploma come cuoca: un tacos messicano cucinato con metodi e prodotti svizzeri –. Iniziare questa preparazione mi ha fatto sentire parte di un nuovo cammino”.