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Don Leo e quei quattro mesi ancora senza un perché

Recenti dichiarazioni dell’amministratore apostolico de Raemy ripropongono gli interrogativi sul lungo tempo trascorso dalla denuncia all’arresto

Quesiti avvolti nella nebbia
(Keystone)
22 ottobre 2024
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È un aspetto avvolto ancora nella nebbia. Perché per quattro mesi, dall’esposto in Procura, e l’avvio delle indagini, all’arresto, don Rolando Leo – il religioso dal 7 agosto dietro le sbarre per gli ipotizzati reati di atti sessuali con fanciulli, coazione sessuale, atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere e pornografia – ha potuto muoversi in totale libertà, continuando a svolgere attività anche con dei giovani? A riproporre l’importante e delicato interrogativo sono le recentissime dichiarazioni dell’amministratore apostolico. “Abbiamo comunicato in trasparenza tutto quello che eravamo venuti a sapere dalla vittima stessa, che abbiamo accompagnato e che ha potuto dire davvero tutto. Il tutto è poi stato affidato alla Magistratura. Da quel momento io non mi sono più sentito autorizzato a intervenire in qualsiasi modo che potesse disturbare l’indagine. L’ho anche segnalato nel momento dovuto che ero preoccupato dalla tempistica. Dal 2 aprile siamo arrivati all’estate. Anche io mi sono preoccupato”, ha sostenuto venerdì Alain de Raemy intervistato dal ‘Quotidiano’ (Rsi) sul comunicato stampa diffuso in giornata nel quale la Cvs, la Conferenza dei vescovi svizzeri, riassumeva il contenuto della missiva ricevuta dal Vaticano, e meglio dal Dicastero per i vescovi, sulla gestione, da parte di alti prelati elvetici, di casi di presunti abusi sessuali (“Sono stati individuati errori, omissioni e mancanze nell’ambito delle norme procedurali canoniche, che i vescovi deplorano profondamente. Allo stesso tempo, non è stata riscontrata alcuna trasgressione che richieda ad oggi l’apertura di un procedimento penale interno alla Chiesa”, ha scritto la Cvs).

La Procura: non possiamo entrare nel merito

Tornando all’affaire don Leo – la cui carcerazione preventiva è stata prorogata sino a metà novembre dal giudice dei provvedimenti coercitivi, il quale la scorsa settimana ha sostanzialmente accolto l’istanza della procuratrice Valentina Tuoni, titolare dell’inchiesta –, dalle parole di de Raemy sembra di capire che lo stesso amministratore apostolico avesse manifestato al Ministero pubblico già nelle prime battute dell’indagine una certa preoccupazione con riferimento al dopo denuncia. Ma ad avere l’ultima parola era la Procura. Restano i quesiti: si poteva/doveva ordinare l’arresto di don Leo prima del 7 agosto? Perché si sono lasciati passare quattro mesi? La Curia avrebbe potuto/dovuto limitare, subito dopo la denuncia, il raggio d’azione del cappellano del Papio? De Raemy ha tra l’altro affermato ai microfoni della Rsi che “Non mi sono più sentito autorizzato a intervenire in qualsiasi modo che potesse disturbare l’indagine”. Frase che richiama in parte ciò che aveva scritto la Curia vescovile nella nota di sabato 10 agosto, in cui spiegava di non aver adottato alcun tipo di misura nei confronti del religioso “per non interferire nell’accertamento della verità e rischiare l’inquinamento delle prove”. Insomma, a dirigere la musica erano gli inquirenti.

Riformuliamo le domande suddette; anzi, la domanda di fondo: per quale o quali motivi sono trascorsi quattro mesi prima del provvedimento restrittivo? “Pur comprendendo le esigenze dei media, fornire in questo momento delle risposte ai vostri interrogativi significherebbe entrare nel merito di questioni e dettagli che sono ancora oggetto di un’inchiesta penale e quindi coperti dal segreto istruttorio. Tutto questo inoltre quando, proprio nei giorni scorsi, per consentire ulteriori approfondimenti (considerati a rischio di collusione), è stata convalidata la richiesta di proroga della carcerazione preventiva. Alla luce di ciò, riteniamo di poterci esprimere unicamente nelle sedi deputate”, così scrive il Ministero pubblico, interpellato dalla ‘Regione’ dopo le dichiarazioni di venerdì dell’amministratore apostolico.

Insomma, gli interrogativi restano per il momento senza risposta. Che peraltro non sono solo nostri. Se li è posti, commentando il comunicato stampa della Curia del 10 agosto, anche l’ex granconsigliere liberale radicale Giorgio Galusero. “Non si capisce, e questo è un punto che prima o poi andrà acclarato verso l’opinione pubblica, chi abbia deciso che non dovessero essere prese delle misure a titolo precauzionale a carico del prete – aveva evidenziato il già ufficiale della Polizia cantonale –. Gli inquirenti? La Curia? La tutela dei giovani quali potenziali vittime doveva venire prima di ogni altra considerazione o di eventuali strategie investigative, strategie che nella fattispecie ignoro. Però, quali ulteriori prove bisognava raccogliere, permettendogli di partecipare a colonie e viaggi all’estero con dei ragazzi?!”.

Domande dell’Mps, il governo non risponde

Dal Ministero pubblico al Consiglio di Stato. “Abbiamo preso atto delle domande e dell’interesse dimostrato verso le tematiche sollevate. Tuttavia, desideriamo informarvi che le questioni poste esulano chiaramente dalle competenze attribuite al governo, sia per quanto riguarda il profilo normativo che quello di vigilanza. In questi casi, il governo non dispone né del mandato legale né degli strumenti necessari per intervenire o pronunciarsi”. L’Esecutivo risponde picche ai quesiti dei deputati dell’Mps. Matteo Pronzini e Giuseppe Sergi sollecitavano lumi sulle dichiarazioni fatte da don Italo Molinaro, parroco della Basilica del Sacro Cuore di Lugano, il 23 settembre a ‘Modem’ (Rsi). In quella puntata, dedicata al caso don Leo, don Molinaro aveva ricordato che de Raemy era a sua volta inquisito dalla Santa Sede, alludendo all’indagine canonica il cui esito è stato oggetto della citata lettera del Dicastero romano per i vescovi. Nell’interrogazione Pronzini e Sergi rammentavano poi che “secondo la Legge cantonale sulla Chiesa cattolica, la Diocesi di Lugano è un ente di diritto pubblico”, rimarcando come il Consiglio di Stato “vigili sugli enti di diritto pubblico”. Tant’è che i due granconsiglieri chiedevano al governo se non ritenesse di dover proporre una modifica della Legge sulla Chiesa cattolica “in modo da introdurre organi di verifica/indagine interna”. L’Esecutivo: non rientra nelle nostre competenze. Amen.

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