Alla vigilia delle ferie estive, il direttore della Ssic Nicola Bagnovini a tutto campo tra la tragedia in Vallemaggia e le sfide che attendono il settore
L’edilizia è pronta per le sue ferie estive ma quest’anno ci andrà con «costernazione, incredulità e tristezza». È alla tragedia avvenuta di recente in Vallemaggia che il direttore della Società svizzera impresari costruttori ticinese Nicola Bagnovini rivolge il primo pensiero a colloquio con ‘laRegione’. Sentimenti che «accompagnano l’Alta Vallemaggia e l’intera popolazione ticinese e l’economia locale – continua Bagnovini –. Ci sono stati dei morti, dei dispersi, persone che in poche ore hanno perso tutto o quasi, un territorio irriconoscibile, devastato nelle infrastrutture, nei collegamenti stradali e nei servizi di base come acqua, elettricità, telefonia e canalizzazioni. Sono rimaste la paura e l’insicurezza verso il futuro per queste regioni di montagna abituate alle avversità ma impreparate a una simile situazione estrema. L’ho sperimentato sulla mia pelle e su quella dei miei familiari, essendo originari del Piano di Peccia e proprietari di una delle case più vicine al fiume».
Insomma, l’emozione è ancora forte.
E non potrebbe essere altrimenti. Quanto successo durante le ultime settimane, dapprima in Mesolcina e poi nell’Alta Vallemaggia, ha impressionato l’intera popolazione, le autorità, gli enti di primo soccorso, le aziende di servizio, l’esercito e pure l’economia privata vicina al settore della costruzione. La reazione di tutti è stata ammirevole per l’impegno e per le soluzioni trovate con caparbietà e ragionevolezza nei primi interventi di soccorso, di messa in sicurezza e di ripristino di un minimo di normalità. Anche gli imprenditori della costruzione e dell’artigianato edile hanno fornito un supporto determinante e incondizionato alle autorità preposte, dimostrando, ancora una volta, forte senso civico, intraprendenza, altruismo, voglia di fare e capacità di mettere a disposizione immediatamente uomini e mezzi per il bene di tutti. Commovente, ai miei occhi, è stata l’immagine di ditte e residenti della Valle Lavizzara, come la Val Bavona isolata dal mondo per diversi giorni, lavorare sodo per liberare strade e per aiutare i privati nei primi e pesanti lavori di sgombero del fango, con l’aiuto dei pochi escavatori disponibili e muniti di picconi, pale e carriole. Tutto questo in modo spontaneo e istintivo.
Il ruolo del vostro settore finora qual è stato?
Nelle ultime settimane, le imprese sono entrate nel pieno dei lavori su molti cantieri dell’Alta Vallemaggia, affrontando una situazione d’emergenza in modo straordinario, con uno sforzo prolungato che dà la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile per curare le prime ferite di un territorio devastato dal nubifragio. Con questo spirito, diverse ditte cercheranno di approfittare delle meritate vacanze di agosto anche per ricaricare le batterie, consapevoli dell’enorme lavoro che rimane da fare in modo coordinato e pianificato secondo le direttive delle varie autorità. Più in generale, le vacanze collettive dell’edilizia chiudono una prima parte dell’anno complicata anche da una meteo che ha messo in difficoltà i cantieri all’aperto per diversi mesi, viste le frequenti precipitazioni.
L’anno era iniziato con i problemi, non nuovi, delle riserve di lavoro e del possibile collo di bottiglia con gli appalti pubblici...
Il segnale d’allarme per il calo del numero di commesse pubbliche è stato lanciato dalla Ssic lo scorso autunno e ripreso in più occasioni anche durante la prima metà del 2024. Le riserve di lavoro continuano a essere basse fatta eccezione per alcune situazioni specifiche, e lo si vede bene dal nervosismo presente nella gran parte degli appalti che si traduce in una corsa al ribasso delle offerte per nulla sana. Capisco la necessità di dover acquisire lavori con il nobile intento di preservare l’occupazione e la forza lavoro della propria azienda, ma i prezzi stracciati, che non hanno nulla a che vedere con i preventivi dei committenti, comportano serie difficoltà nel far quadrare i conti a fine lavori, precludendo i necessari margini di guadagno e spesso causando significative perdite che intaccano le riserve finanziarie dell’impresa. Simili situazioni non devono diventare la regola altrimenti sarà l’intero settore a pagare le conseguenze di un mercato fuori controllo, con ripercussioni sull’intera economia.
Non è la prima volta che denunciate un calo di appalti e parlate di uno Stato che dovrebbe essere più vicino al settore dell’edilizia. Rimanete di questa opinione o la questione è un po’ migliorata?
La nostra Associazione continuerà a rivendicare appalti pubblici più importanti perché essi rappresentano investimenti, e non costi, necessari per preservare il patrimonio immobiliare esistente. Penso ad esempio agli interventi di risanamento dei molti edifici pubblici di proprietà di Comuni, Cantone e Confederazione presenti sul territorio, così come ai lavori per mantenere funzionali e sicure le infrastrutture di collegamento come strade, autostrade, collegamenti ferroviari, ponti, viadotti e gallerie. Stiamo parlando del benessere e dell’efficienza del nostro Paese, ultimamente già messa in discussione per vari aspetti, e un risparmio su questi investimenti rappresenterebbe un debito occulto. È evidente che le rivendicazioni di appalti pubblici in questo momento di flessione dell’edilizia privata, in particolare per le nuove costruzioni, creano l’auspicato effetto anticiclico per scongiurare crisi strutturali e occupazionali.
Quali sono le principali sfide che aspetteranno il vostro settore nella seconda parte dell’anno?
Se avessi una bacchetta magica per risolvere immediatamente le sfide che ci attendono opterei per cancellare i ricorsi pendenti in fase di approvazione dei progetti o di aggiudicazione che, di fatto, impediscono a diversi importanti cantieri di passare alla fase realizzativa. Abbiamo di fronte grandi opere che meritano di prendere forma in tempi accettabili, anche se mi sembra che tutto stia diventando sempre più complicato e dispendioso da gestire. A livello di viabilità, il territorio sta collassando e dunque molti interventi, con i crediti pronti a essere usati, assumono ormai carattere d’urgenza per adattare le nostre infrastrutture alle accresciute esigenze della società. Tra le sfide principali che ci attendono vi sarà quella di disporre della necessaria flessibilità per essere operativi in tempi brevi, nel momento in cui determinati cantieri si sbloccheranno, con poco preavviso.
C’è ancora spazio per l’ottimismo nell’edilizia?
L’ottimismo deve sempre esserci, in tutti i campi di attività, in quanto stimola gli imprenditori a migliorare e crescere. L’edilizia, che tra l’altro gode di ottime condizioni di lavoro con un salario minimo di 5’738 franchi al mese per tredici mensilità all’anno per un muratore diplomato, è un settore centrale per la vita di tutti i giorni e per la crescita strutturale e culturale di ogni Paese ed è per questo che l’ottimismo e l’intraprendenza devono spronare gli addetti ai lavori a puntare sull’economia circolare, sull’efficienza energetica, sull’ottimizzazione degli spazi e sull’innovazione in tutti i campi atti a promuovere la sostenibilità e la riduzione degli sprechi in senso lato. Il tutto mantenendo ben saldo il rapporto con il pragmatismo ed evitando inutili esercizi alibi che non portano a risultati concreti.