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‘Impenna un malessere che non si cura con i soldi’

Aggiornato al 2023 il Welfare Index ideato da Morisoli. ‘Il mio decreto? Dovrebbe indurre il governo non a spendere meno in questi settori, ma meglio’

‘Noi puntiamo la luna, ma con mille scuse si guarda il dito’
(Ti-Press)
8 luglio 2024
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«Il Canton Ticino è molto attivo ed efficiente nel minimizzare il malessere finanziario dei propri cittadini, ma fa veramente fatica a intervenire sugli altri tipi di malessere sociale che il nostro Indice attesta in forte crescita. Lo scoglio è sempre il solito: sembra quasi che i problemi si risolvano solo con montagne di soldi, senza ragionare sull’efficacia del loro impiego». L’Indice di cui parla il deputato democentrista in Gran Consiglio nonché membro di AreaLiberale Sergio Morisoli è il Welfare Index, da lui ideato nel 2011 insieme al collega di partito e consigliere nazionale Paolo Pamini, con l’obiettivo di «quantificare il malessere sociale generalizzato della popolazione residente in Ticino». Basato su sei macrocategorie (giovani, famiglia, lavoro, delinquenza, comportamentale, finanziaria) e su 90 indicatori (che vanno dai beneficiari dei sussidi di cassa malati, ai precetti esecutivi, passando per gli aborti, i matrimoni, i permessi per stranieri, i rapporti di contravvenzione della circolazione) fa capo a dati ufficiali del Cantone, successivamente ponderati in base alla percezione della loro rilevanza, seguendo però dei criteri sempre costanti nel tempo per permettere un confronto. Il documento relativo al 2023 è fresco di pubblicazione e mostra che dal 2011 il valore dell’Indice generale è passato da 100 punti a 126,5. Nel sistema messo a punto dai due politici liberalconservatori significa che il malessere sociale in Ticino è aumentato del 26,5% in dodici anni. Ne abbiamo discusso con Morisoli.

È noto che i tagli inseriti nel Preventivo cantonale 2024 – così come quelli prospettati per il 2025 – stanno creando enorme preoccupazione anche a enti e organizzazioni che si occupano di malessere sociale: dai settori della pedopsichiatria, ai Centri educativi per minori, alle Autorità regionali di protezione. I paletti sono stati fissati in buona parte dal decreto legislativo per il pareggio dei conti entro il 2025, da raggiungere agendo prioritariamente sulla spesa, che porta la sua firma: non si ritiene responsabile della verosimile impennata che registrerà in futuro il vostro Welfare Index?

L’Index dimostra che fino al 2023, quindi senza il decreto, il malessere è cresciuto e che i mezzi messi in campo non sono riusciti a contenerlo. Il governo in ritardo non può che fare tagli lineari, colpa sua. Non è quindi il decreto che ha determinato i risparmi sui vari enti e servizi che si occupano del malessere delle persone, semmai il decreto avrebbe dovuto indurre il governo non a spendere meno in questi settori, ma meglio. E il nostro Indice dice chiaramente quali sono questi ambiti, mostrando al contempo che tutti i soldi spesi finora da parte dello Stato – e sono tanti, sempre in crescita, perché la spesa funzionale per il welfare in senso lato è aumentata di oltre il 30% in 12 anni – non stanno producendo i risultati sperati. Noi sosteniamo che sia giunto il momento di essere un po’ critici sulla destinazione di tali mezzi. Alcuni settori avrebbero magari bisogno anche di più soldi, ma in altri è necessario fare una riflessione sull’efficienza e l’efficacia degli interventi a fronte dei mezzi impiegati.

Venendo alle macrocategorie la cui curva è maggiormente in crescita, si legge nell’Index 2023 che “in particolare nel dopo pandemia spicca l’accelerazione del malessere giovanile, quello delle famiglie, l’impennata della delinquenza e del comportamento”. Concretamente, come reindirizzereste meglio le risorse, fermo restando che per voi aumentare la spesa complessiva è tutt’altro che la soluzione?

Per orientare meglio le risorse bisogna avere i mezzi di approfondimento che noi, autori di questo Index, non possediamo. A occuparsene dovrebbero essere il governo con una visione politica e poi i Dipartimenti che hanno a disposizione specialisti e funzionari dirigenti che hanno proprio questi compiti. Il primo passo dovrebbe essere quello di accettare invece di contraddire la realtà, ovvero fare un discorso onesto di bilancio tra le misure intraprese, il costo delle stesse e i risultati raggiunti con lo scopo di capire se le risorse vengono adeguatamente utilizzate.

Serve dunque un’analisi della spesa pubblica, come propone il Centro, che chiede di affidarla a un ente esterno e indipendente?

È da decenni che un’analisi dei compiti dello Stato viene annunciata, in parte intrapresa e poi abbandonata. Adesso siamo di fronte all’ennesimo tentativo. Per una questione di tempi e di risorse è impossibile estenderla a tutti i settori. Ma un buon ambito su cui concentrare questo tipo di valutazione sarebbe proprio quello del malessere sociale.

Dal vostro Indice risulta d’altro canto “praticamente costante da un decennio” il sottoindice del “bisogno finanziario in senso stretto”. Lo scorso ottobre è stato pubblicato dal Cantone il primo ‘Rapporto sociale: statistica sulla povertà in Ticino’ il quale evidenzia che nel 2018 (anno più recente attualmente disponibile) il tasso di povertà reddituale assoluta ammontava al 7,4%, in aumento rispetto al 6,1% nel 2015. Dai vostri grafici emerge invece una leggera discesa in quel lasso di tempo, e in 12 anni una variazione complessiva di solo +0,27%. Chi ha ragione? La povertà in Ticino è o non è un problema?

Si tratta di due parametri diversi che però in sostanza giungono a una simile conclusione, cioè che la povertà pur essendo aumentata non sta esplodendo, al contrario di altre macrocategorie. Quella relativa all’esigenza finanziaria in senso stretto riflette il fatto che i beneficiari di aiuti statali sono rimasti grossomodo invariati a livello numerico dal 2011 a oggi. È ovviamente un genere di malessere che tocca molte persone, non fosse altro per il fatto che il potere d’acquisto diminuisce, ma non è così rilevante come altri malesseri. I sussidi diretti alle persone bisognose servono e l’Indice dimostra che raggiungono lo scopo. Un problema ben maggiore è ad esempio l’aumento dei minorenni condannati e della delinquenza, tendenza che non si risolve con i soldi.

Potenziare la scuola e in generale fornire più risorse a chi si occupa di educazione è quindi inutile?

Lo strumento del Welfare Index non serve a offrire ricette, ma a fotografare delle situazioni. Lo abbiamo fatto per 12 anni e ora disponiamo di una sorta di filmato in cui si vede una chiara tendenza al peggioramento nonostante l’economia – il Pil – cresca e lo Stato spenda sempre di più per il welfare. È così in tutta Europa. Sta agli addetti ai lavori accogliere la sfida di capire perché e come intervenire.

Anche quest’anno nel documento considerate che “il mercato del lavoro lasciato a sé stesso, a volte saccheggiato, nonché la debole politica economica impediscono di sottrarre un numero importante di cittadini dal malessere sociale”. Di chi è la responsabilità? A proporre stipendi al ribasso che attirano i frontalieri non sono perlopiù imprenditori ticinesi, anche vostri elettori?

L’imprenditore che assume frontalieri è l’ultimo elemento della catena. Il problema è a monte e di non facile risoluzione in tempi brevi. Il governo dovrebbe intraprendere una politica di crescita e di attrattività economica con tutte le misure del caso, per incentivare l’insediamento di aziende, l’arrivo di nuove attività, creare posti di lavoro qualificati anche per i nostri cittadini, in modo che i giovani non emigrino dal Ticino. Il mercato del lavoro lasciato a sé stesso produce quello che vediamo tutti: stipendi al ribasso e numero di frontalieri che cresce. Come si fa a uscire da questa situazione? Per risolverla bisogna prima ammettere che esiste.

Il vostro auspicio resta in fin dei conti quello che il Welfare Index venga riconosciuto come un punto di riferimento nel dibattito pubblico, ciò che non è avvenuto negli ultimi 12 anni. Voi però non demordete. Avete ancora la speranza di essere presi in considerazione?

Continueremo ad aggiornare questo Indice perché riteniamo che sia un contributo utile per la collettività. Lo facciamo in funzione di un bene comune, per “pungere il potere” e trovare delle soluzioni. Dispiace che finora non si sia mai innescata una discussione politica, salvo polemizzare contro i metodi e i criteri, o dire che è colpa degli sgravi o che dipende da Berna. Il malessere è in crescita e dietro l’Indice stimiamo ci siano tra le 100mila e le 120mila persone che sono toccate da almeno uno dei nostri indicatori. Noi puntiamo la luna, ma con mille scuse si guarda il dito.

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