Berger (Decs): ‘Al momento non abbiamo elementi specifici relativi a un interesse per questa attività, ma le professioni digitali sono attrattive’
«Al momento il Decs non ha elementi specifici relativi a un interesse per l’attività di influencer. Ciò detto, negli ultimi anni è stato rilevato, in generale, un accresciuto interesse nei confronti delle professioni legate al mondo digitale, come l’informatico, il mediamatico, l’interactive media designer o lo sviluppatore di business digitale. Un mondo sempre più presente nella vita quotidiana delle persone sia in ambito privato che professionale». Così si esprime il coordinatore del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport Emanuele Berger, da noi interpellato su un tema di stretta attualità.
Un tema, quello degli influencer, che continua a far discutere in Ticino. Già nel gennaio 2020 l’organizzazione da parte della Città dei mestieri di Bellinzona di una serata informativa intitolata ‘Professione influencer? Un confronto sul tema, con la presenza di giovani, genitori ed esperti di comunicazione’ aveva suscitato non poche reazioni. I granconsiglieri del Partito comunista Massimiliano Ay e Lea Ferrari avevano per esempio depositato un’interpellanza al Consiglio di Stato concernente l’evento pubblico. Per i deputati comunisti “fare l’influencer non è un lavoro”, anzi, “un servizio d’orientamento pubblico dovrebbe promuovere professioni stabili e utili alla società, che abbiano delle condizioni contrattuali dignitose e che siano utili per lo sviluppo produttivo della società”. «La serata organizzata quattro anni fa – ci spiega Berger – era nata proprio dall’esigenza di affrontare con sguardo critico qualcosa che già allora faceva pienamente parte della realtà di giovani e adulti. Durante la serata erano stati trattati gli aspetti critici, i rischi per la persona, ma anche per l’azienda che decide di utilizzare questa modalità promozionale. La Città dei mestieri aveva intercettato allora un tema oggi ancor più d’attualità».
I social occupano infatti una parte sempre più rilevante della nostra quotidianità e le personalità più seguite su queste piattaforme fanno discutere praticamente chiunque. Ne sono testimonianza lampante i numerosi articoli, prese di posizione, critiche e alzate di scudi che in queste settimane stanno tenendo caldo il tema. Il caso che vede al centro la più famosa influencer italiana, Chiara Ferragni, multata per pubblicità ingannevole dall’Antitrust e indagata dalla procura di Milano per truffa aggravata, dimostra che le questioni di trasparenza sui social non vanno date per scontate, nemmeno se hai trenta milioni di follower su Instagram spesso pronti a prendere le tue parti. La vicenda che coinvolge Chiara Ferragni per il caso della promozione dei pandori Balocco sta occupando in queste settimane le pagine dei media di mezzo mondo. Se da un lato l’influencer italiana non ha bisogno di presentazioni, dall’altro la sua fama non era tale da giustificare una ripresa così ampia della notizia. Il tema va dunque oltre alla personalità chiamata in causa andando a toccare dinamiche più profonde del funzionamento dei social media.
Il rapporto tra gli influencer e chi li segue innanzitutto. Le persone più seguite sui social sono in grado, con i loro contenuti, di influenzare – appunto – il comportamento di milioni di follower, senza spesso dover rendere conto a nessuno. La pandemia poi ha rappresentato un momento emblematico nell’ascesa dello spazio occupato dai social nella vita di tutti i giorni. Tant’è che il confine tra un contenuto autentico e uno preparato ad arte volto a promuovere dei prodotti è a oggi sempre più labile e di difficile individuazione. Con conseguenze non marginali per la società e la politica. Da qui la volontà, ultimamente sempre più diffusa, di fissare dei paletti alle attività online. È di mercoledì la notizia dell’approvazione da parte dell’Agcom, l’Autorità garante delle comunicazioni italiana, di nuove linee guida per regolare maggiormente il lavoro degli influencer con oltre un milione di follower. Nonostante questi ultimi siano in Italia già soggetti a numerose leggi, le nuove regole andrebbero a rafforzare la trasparenza nel caso di pubblicità e a garantire una maggiore tutela dei minori. Allo stesso modo lo scorso giugno il parlamento francese ha approvato in via definitiva la proposta di legge sulla regolamentazione delle attività promozionali degli influencer. Una nuova legge che va a creare le condizioni per riconoscere la professione di influencer, così da assoggettarla al diritto francese.
La professione di influencer è infatti nata in anni recenti, per cui non sono previste molte regole specifiche. Tant’è che in Svizzera non c’è alcuna regolamentazione su misura. Questo perché in nessuna legge appare la parola ‘influencer’, quindi chi opera nel settore lo fa in una zona grigia. Naturalmente le violazioni delle norme pubblicitarie sono regolate da una legge, la Legge federale contro la concorrenza sleale, ed esiste anche una Commissione per la lealtà che svolge un ruolo di controllo, che non può tuttavia imporre multe o divieti che possono essere applicati dallo Stato, ma solo raccomandazioni.
Attenzione ai rischi dunque. «Il Decs – mette in luce ancora Berger – già oggi promuove una riflessione critica su queste tematiche. Lo fa rafforzando le cosiddette competenze trasversali, nell’ambito dell’educazione all’uso consapevole, sicuro e responsabile delle tecnologie e dei media. La declinazione specifica che viene data di volta in volta rientra nella libertà didattica dei docenti e delle docenti: possono decidere di approfondire determinati temi o questioni di attualità, anche in base all’età degli allievi. Lo fa però anche con una serie di attività appositamente ideate, coordinate dal Centro di risorse didattiche e digitali e in collaborazione con svariate associazioni, che vengono proposte nella scuola media come pure nelle scuole del post obbligo. Attività che toccano tutte le tematiche, dal cyberbullismo all’affidabilità delle fonti o alla veridicità delle informazioni».