Il Consiglio di Stato chiude alla proposta dei Verdi e chiede al parlamento di respingere la proposta di introdurre il divieto nella normativa cantonale
La legislazione vigente in materia “permette già di intervenire in caso di pubblicità chiaramente denigratoria o sessista”. Ergo: “Non vi è necessità di introdurre specificatamente il divieto di pubblicità sessista richiesto”. Il Consiglio di Stato chiude alla proposta dei Verdi e invita il parlamento a fare altrettanto. Con un’iniziativa depositata nel dicembre 2021, prima firmataria l’allora deputata Cristina Gardenghi, gli ecologisti sollecitano una modifica della LImp, la Legge cantonale sugli impianti pubblicitari, con l’inserimento della disposizione secondo cui “Sono vietati gli impianti pubblicitari percettibili dall’area pubblica che presentano contenuti sessisti”. Come scritto, il governo chiede al Gran Consiglio di respingere quanto prospettato nell’atto parlamentare.
Il tema non è nuovo. Risale infatti al 2018 la mozione, peraltro tuttora pendente, con la quale Matteo Pronzini del Movimento per il socialismo chiede una norma per vietare non solo la pubblicità sessista, ma anche quelle razzista e omofoba. Un’analoga istanza era tuttavia già stata formulata in precedenza, nel 2010, dal socialista Raoul Ghisletta con un'iniziativa parlamentare: cinque anni dopo il rapporto commissionale redatto da Maurizio Agustoni del Ppd (oggi Centro) e Greta Gysin (attualmente deputata al Nazionale) dei Verdi, cioè lo stesso partito di Gardenghi. La commissione parlamentare, annotavano i correlatori, “ritiene che un’eventuale pubblicità sessista possa essere vietata già sulla base delle attuali norme”, quelle della Legge sugli impianti pubblicitari, “che prevedono che l’impianto pubblicitario debba rispettare la moralità pubblica”. Ed è ciò che stabilisce il primo articolo della LImp. “Si può in effetti sostenere – rilevavano ancora Agustoni e Gysin – che una pubblicità che dia della donna o dell’uomo una visione degradante od oscena sia contraria alla morale pubblica”. Si proponeva però di inserire nella legge una norma, e meglio l’aggiunta di un capoverso (il quarto) all’articolo 3, per rafforzare la facoltà di intervento dei cittadini: “Ogni cittadino domiciliato nel comune in cui è installato l’impianto pubblicitario e ogni altra persona che dimostri un interesse degno di protezione può chiedere all’autorità competente (...) che l’autorizzazione (all’installazione, ndr) sia revocata qualora gli impianti pubblicitari non siano conformi all’articolo 1”. E se l’autorità competente, ossia il Municipio o il Cantone, non revoca l’autorizzazione, vi è la possibilità di ricorrere al Consiglio di Stato e poi se del caso al Tribunale cantonale amministrativo. Rapporto e relativo controprogetto (il citato quarto capoverso) sono stati accolti dal Gran Consiglio nel marzo del 2015.
Anche il governo ricorda, nella presa di posizione sull’iniziativa di Gardenghi e cofirmatari, quanto introdotto otto anni fa dal parlamento. “L’attuale articolo 3 capoverso 4 della Legge sugli impianti pubblicitari conferisce a ogni cittadino la possibilità di chiedere la rimozione di impianti non conformi all’articolo 1 della LImp”. Di conseguenza, continua il Consiglio di Stato, “il cittadino che dovesse notare un manifesto costitutivo di discriminazione sessuale (e pertanto contrario alla morale pubblica) può in effetti già oggi rivolgersi all’autorità per chiederne la rimozione”.
Ma, al di là dei divieti, per il Consiglio di Stato “è importante lavorare su un cambiamento culturale, in modo che la società sia più sensibile alla parità di genere e non siano più presentate immagini di donne o uomini equiparati a merce, o ridotti a ricoprire ruoli determinati secondo cliché e stereotipi”. Pubblicità sessiste o che collocano la donna in un ruolo subalterno “risulteranno così controproducenti, grazie a una società in costante sviluppo che contrasta le violenze e le disparità di genere”. Al riguardo il governo cita “l’esperienza del Canton Vaud (circa 800mila abitanti)”. Esperienza che “fornisce sicuramente un’indicazione attendibile sulla potenziale casistica: nel 2022 risultano infatti solo cinque segnalazioni alla preposta commissione cantonale”. Di queste cinque segnalazioni “soltanto due sono state considerate sessiste”. Quindi, tornando al nostro cantone, “la possibilità di individuare concretamente pubblicità sessiste in Ticino rimane, ad ogni modo, relativamente contenuta”. Senza poi dimenticare, osserva l’Esecutivo, che “un eventuale rafforzamento del controllo preventivo di ogni rappresentazione pubblicitaria soggetta alla LImp da parte delle autorità preposte – ad esempio assoggettando ad autorizzazione di volta in volta l’affissione di ogni nuovo cartellone pubblicitario sugli impianti – sarebbe eccessivamente gravoso”.
Per il Consiglio di Stato, insomma, “non si intravede la necessità di modificare la Legge sugli impianti pubblicitari”. La legislazione in vigore “al momento garantisce gli interessi di tutte le parti e conferisce all’autorità la facoltà di agire nei casi ritenuti lesivi della moralità”.