Dai dati congiunturali sull’economia ticinese emerge un quadro contraddittorio: più posti di lavoro, ma disoccupazione sempre sopra alla Lombardia
In Ticino aumentano i posti di lavoro (+3,5% in un anno), sia a tempo parziale (+6,1%) che a tempo pieno (+2,1%). Però diminuisce il tasso di attività (sceso, sempre in un anno, dal 57,9% al 56,5%) e la disoccupazione ai sensi dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) rimane al 7,2%, contro il 5% della Lombardia e senza mai essere scesa sotto il 7% dal 2020.
Come dire: la ripresa post-Covid – peraltro rallentata dalla crisi energetica e ‘bellica’ – continua a schivare una significativa fetta di popolazione. O almeno così pare di capire, guardando i dati sulla ‘Situazione congiunturale dell’economia ticinese’ pubblicati l’altroieri dall’Ufficio di statistica cantonale (Ustat).
Ma perché questa schizofrenia tra indicatori positivi e negativi? Ce lo spiega meglio il ricercatore dell’Ustat Eric Stephani: «Se da una parte è positivo l’aumento dell’impiego – nonostante le difficoltà di questo periodo, con una ‘planata’ nella crescita del Pil nazionale che dal 4% del 2021 scende al 2% previsto per quest’anno –, dall’altra vediamo che sul mercato del lavoro sta succedendo qualcosa che gli indicatori classici faticano a spiegare: aumentano gli inattivi, stimabili attorno alle 133mila unità, il 3,7% in più dell’anno scorso».
Ora, «la maggior parte di questi, 79mila (+6.9% in un anno), ha più di 65 anni, per cui una prima spiegazione a questo aumento è ascrivibile all’invecchiamento della popolazione, che comporta un saldo negativo tra chi entra e chi esce dal mondo del lavoro per motivi anagrafici». Tuttavia, prosegue Stephani, «questa prima spiegazione non esclude altri fenomeni, meno sostanziali in cifre assolute, che evidenziano come una parte della popolazione in età lavorativa scivoli ‘ai margini del mercato del lavoro’ (per citare uno studio che abbiamo svolto diversi anni fa e reperibile online)».
I margini del mercato del lavoro, appunto, sono sempre meno netti, specie per quanto riguarda i giovani. «Per una revisione della Rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera (Rifos) al momento mancano alcuni indicatori chiave per monitorare l’evoluzione di questi fenomeni, tra questi quelli relativi alla forza di lavoro potenziale e alla sottoccupazione. Attualmente si stima che i giovani occupati siano circa 13’500, in calo del 2,5% su base annua. Di riflesso si vede un aumento del numero di giovani in formazione, la cui ultima cifra è pari a 16’800 (+3,3% su base annua)». Questa evoluzione, osserva Stephani, «ha una lettura positiva: sempre più giovani si formano»; ma ne ha pure «una un po’ meno positiva: sempre più giovani posticipano l’avvio della carriera professionale». Inoltre «ci sono anche i cosiddetti Neet (‘Not in Education, Employment or Training’, ovvero persone che non lavorano, non studiano e non seguono formazioni professionali, ndr). Il loro numero in Ticino è relativamente stabile attorno alle 5mila unità», un dato da tenere d’occhio.
Più in generale, al di là dei ragionamenti per classe di età, per Stephani «occorre cambiare paradigma e riuscire a ragionare in termini meno rigidi, scostandosi dalle definizioni classiche: attivo/inattivo, occupato/disoccupato. Gli inattivi disponibili sono una delle nuove categorie alle quali prestare attenzione: qui si ritrovano ad esempio i cosiddetti scoraggiati, quindi coloro che non cercano lavoro, pur essendo disponibili, perché ritengono che non ci siano margini di opportunità per loro. Stiamo lavorando a un nuovo prodotto che intende fornire una lettura integrata e sistemica: sarà presentato nei prossimi mesi».
Siamo infatti di fronte a destini che la statistica sugli iscritti agli uffici regionali di collocamento (la cosiddetta ‘disoccupazione Seco’) non fotografa, perché molti esauriscono o si trovano esclusi dal diritto agli aiuti del caso, e infatti il dato Seco si attesta ancora su un ‘trionfale’ 2,4%: poco più di 4mila persone, contro le oltre 12mila registrate ai sensi dell’Ilo, che invece si basa su un’indagine statistica a campione per verificare quante persone effettivamente lavorano o vorrebbero lavorare, ed è l’unico dato ritenuto attendibile per il confronto su scala internazionale. Confronto che peraltro vede da anni il Ticino dietro alla Lombardia, la quale d’altronde prima della crisi del 2008 aveva addirittura tassi inferiori all’intera Svizzera.
Gli impieghi aumentano, insomma, mentre la disoccupazione non cala. C’entra anche il fatto che i nuovi impieghi creati sono appannaggio dei lavoratori frontalieri? «Difficile distinguere quanti dei nuovi posti di lavoro siano stati occupati da frontalieri», sottolinea Stephani: «Sicuramente in questi primi mesi del 2022, oltre all’effetto-rimbalzo dopo i lockdown, assistiamo a una forte crescita del lavoro frontaliero, cresciuto in Ticino del 3,4% su base annua. Crescita non riscontrata tra gli occupati residenti», che anzi «risultano in calo del 1,5%, fattore spiegabile in buona parte con l’invecchiamento demografico, come accennato sopra».
Infine, vista l’evoluzione diversa tra la crescita dell’impiego e quella degli occupati, un altro fenomeno da tenere in considerazione è quello del ‘multi-impiego’. Anche in questo caso la lettura può essere duplice, considerato il fatto che in questa categoria finiscono sì persone che hanno più di un impiego per vocazione – l’impiegato di banca che insegna pure yoga, ad esempio –, ma anche coloro che con un lavoro solo non arriverebbero alla fine del mese. Il multitasking di Cipputi.
Tornando al calo delle persone attive – oggetto di un nostro approfondimento sull’edizione del 2 agosto – ricordiamo che il tema è oggetto di una mozione del capogruppo Ps in Gran Consiglio Ivo Durisch, dall’icastico titolo ‘Tra disoccupati e dispersi’ (vedi ‘laRegione’ dello scorso 5 settembre). Il deputato socialista nota una diminuzione degli attivi "particolarmente brusca in Ticino dove sono sparite ben 6mila persone" dal 2017 al 2020. Durisch calcola che "la popolazione di giovani attivi è diminuita del 15%" nello stesso periodo e chiede al Consiglio di Stato di approfondire il tema, oltre ad auspicare "la riattivazione del gruppo disoccupazione", la squadra che un tempo riuniva a intervalli regolari funzionari del Dipartimento delle finanze e dell’economia, di quello della sanità e socialità e della Divisione della formazione professionale presso il Dipartimento dell’educazione, allo scopo di sviscerare i dati congiunturali e controllare le spie sul cruscotto del lavoro. La mozione sarà depositata nelle prossime settimane.