Di ritorno dai quasi 6mila metri dell’Alpamayo in Perù, dalla cui cima ha sostenuto l’Aspi, il presidente del Centro si confida e spiega il suo impegno
«Una persona potrà chiedersi dopo tanto tempo perché vado in cima alle montagne e in giro per il mondo per sensibilizzare sul tema della lotta agli abusi e contro ogni forma di violenza sui fanciulli e la pedofilia. Ecco, ora lo dico». Il presidente del Centro (Ppd), Fiorenzo Dadò, reduce dalla scalata dell’Alpamayo in Perù per appoggiare e sostenere pubblicamente l’Aspi, si confida a ‘laRegione’ e spiega da cosa sia animato. Da una promessa.
«Io ho avuto un’infanzia spensierata e molto bella, sono stato un bambino fortunato. A un certo momento della mia vita – continua Dadò – ho incontrato una ragazza che ha subìto abusi da parte del padre. Questa ragazza ha avuto difficoltà enormi, è caduta in depressione, fino a togliersi la vita». È stato un periodo doloroso, «io avevo appena cominciato a far politica. Prima di morire mi ha chiesto di fare tutto quello che potevo per informare su questi temi così delicati, e tutelare l’infanzia. È una promessa che ho fatto, e che cerco di mantenere e portare avanti nei modi che conosco e in cui riesco».
Da qui la scelta di scalare montagne anche molto alte «per ritrovare il candore e la purezza», ma soprattutto «siccome la cosa desta una certa curiosità e interesse nell’opinione pubblica unisco l’utile al dilettevole, cercando nel mio piccolo di sensibilizzare ogni volta su un ambito diverso». A metà agosto, ai 5’947 metri della cima dell’Alpamayo, in Perù, Dadò ha srotolato lo striscione in sostegno della fondazione Aiuto, sostegno e protezione dell’infanzia (Aspi) che compie il suo trentesimo compleanno.
L’aspetto più significativo non è quello alpinistico, «ma quello appunto della sensibilizzazione. È importante sostenere chi oggi si occupa con impegno e serietà, ogni giorno, della tutela dei bambini. Chi ha la fortuna come me di salire su queste montagne, e provare la soddisfazione e la serenità che dà questa attività difficile e pericolosa, è importante che si impegni anche a far passare dei messaggi utili».
Ad accompagnare Dadò nella scalata è stato «anche il ricordo di Alex Pedrazzini, il politico che in Ticino ha fatto di più contro la pedofilia e per i bambini e che, per la prima volta, non ha potuto assistere a queste spedizioni. Alex – riprende Dadò – è stato precursore e capofila in questa battaglia, l’ho sempre sentito solidale e ho sempre avuto il suo sostegno. Durante questa spedizione durata tre settimane l’ho pensato e sentito molto vicino».
E lancia un appello, il presidente del Centro. «La Svizzera è una delle pochissime nazioni in Europa che non dispone di una legge a tutela dei bambini contro le punizioni corporali. Fabio Regazzi in Consiglio nazionale si è impegnato molto in più occasioni, io colgo l’occasione per rilanciare questo tema e chiedere a lui e ai deputati a Berna di farsi promotori di una legge degna di nota e che porti la nostra nazione all’avanguardia anche in quest’ambito».
Quella promessa Dadò l’ha mantenuta, anche quest’anno. E l’ha fatto in condizioni avverse a dir poco: «A questa magnifica montagna, prima di poterla vedere e scalare, ci siamo avvicinati con giorni di trekking e attraversando un ghiacciaio non molto facile a 5mila metri. Per attaccare la cima, siamo partiti dalla tenda alle 11 di notte e… tra andata e ritorno siamo stati in parete circa 14 ore, senza mangiare né bere, sotto la tormenta e la bufera. In vetta non ho avuto l’opportunità di vedere il panorama come si nota dalla foto, ma se durante l’avvicinamento mi sentivo teso e un po’ in ansia, rientrando sono stato ripagato da una grande serenità. Mentre scendevo sulla morena ho trovato molti sassi a forma di cuore, che salendo non avevo notato. Di montagne ne ho salite parecchie ma non ne ho mai visti così tanti come questa volta. Credo sia un segno».