Per il padre dell’iniziativa ‘Basta tasse e basta spese’ lo scopo era quello di moderare preventivamente governo e Gran Consiglio. ‘Ci siamo riusciti’
Nulla da fare per l’iniziativa dell’Udc ‘Basta tasse e basta spese: che i cittadini possano votare su determinate spese’. A larga maggioranza – 58,2% di contrari e 42,8% di favorevoli – i ticinesi hanno detto no all’introduzione del referendum finanziario obbligatorio. È stato però accettato il controprogetto elaborato dal Gran Consiglio che pur accettando lo spirito dell’iniziativa, lo ha moderato alzando l’asticella a 30 milioni per le spese uniche o una spesa annua superiore a sei milioni per almeno quattro anni. Nel contempo è stato introdotto un quorum parlamentare. In pratica sarà il Gran Consiglio, con un terzo favorevole dei presenti e con un minimo di 25 deputati, a decidere se sottoporre o no la spesa a voto popolare.
Sergio Morisoli, capogruppo dell’Udc e ‘padre’ dell’iniziativa parla di «doppia vittoria». «Il Ticino sarà il 19esimo cantone a dotarsi di uno strumento che costringe l’amministrazione, il governo e il parlamento a moderarsi preventivamente sul lato della spesa pubblica», afferma l’esponente Udc. «Anche il controprogetto, approvato dal popolo (51,9% di sì e 48,1% di no) è frutto della mediazione della nostra deputata Lara Filippini», continua Morisoli che precisa che lo scopo del nuovo istituto «non sarà quello di chiamare i cittadini alle urne a ogni piè sospinto, ma di far ragionare i decisori politici sulle spese evitando da subito quelle inutili». E a chi fa notare che si voterà eventualmente solo su determinati crediti e non sulle entrate, Morisoli sottolinea che in realtà, «dopo che i cittadini hanno delegato nel 2015 al Gran Consiglio l’opzione di aumentare il moltiplicatore d’imposta cantonale ora abbiamo riequilibrato la partita».
“Il Plrt si è opposto fin dal principio all’introduzione in Ticino dello strumento del referendum finanziario obbligatorio nella Costituzione cantonale: un meccanismo che rallenterebbe la progettualità cantonale ed alimenterebbe i regionalismi”, si legge in una nota a firma del presidente cantonale Alessandro Speziali. “Queste spese sono peraltro già controllate ed equilibrate attraverso la legge sul freno al disavanzo e con lo strumento del referendum facoltativo, per cui già oggi – raccogliendo le firme – i cittadini possono intervenire sulle scelte del parlamento. Quanto al controprogetto, poco cambia nella sostanza; anzi, sul dibattito parlamentare aleggerebbe la strumentalizzazione del voto popolare”, si precisa.
“Di fronte alla volontà popolare, che ha sostenuto il controprogetto, come Plrt vigileremo affinché l’applicazione di questo strumento non diventi un ostacolo allo sviluppo del nostro cantone, tenendo comunque presente la necessità di investimenti e di equilibrio per le finanze pubbliche, nonché la promozione di progetti in tutte le regioni del cantone, anche quelle meno popolose”, conclude il presidente del Plrt.
Christian Vitta, consigliere di Stato e direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia (Dfe) prende atto del no all’iniziativa. «Come governo ci eravamo opposti a questa iniziativa, mentre il controprogetto era una proposta della maggioranza del parlamento sulla quale non ci eravamo espressi». «A ogni modo il controprogetto non introduce un automatismo e lascia margine alla politica per decisioni comunque condivise ampiamente», commenta il responsabile del Dfe che non teme uno stravolgimento dell’attività del Consiglio di Stato. Gli importi in questione – precisa – «riguardano spesso decisioni di investimento non necessariamente contestate».
Il granconsigliere socialista Carlo Lepori, tra i relatori del rapporto di minoranza assieme alla liberaleradicale Michela Ris e che si opponeva sia all’iniziativa, sia al controprogetto, saluta comunque con favore il fatto che non ci sarà nessun automatismo tra livello della spesa e chiamata alle urne. «Più che referendum obbligatorio, con il controprogetto è stato introdotto un referendum istituzionale in quanto sarà eventualmente una minoranza del Gran Consiglio (minimo 25 deputati) a poterlo chiedere», afferma Carlo Lepori. «Bisognerà vedere come verrà applicato e quali saranno gli effetti su determinate decisioni di spesa. Come gruppo politico rimaniamo dell’idea che un conto è andare a votare su volontà dei cittadini e un altro è che sia una minoranza parlamentare a chiamare i cittadini alle urne. Ripeto, vedremo quali saranno le conseguenze concrete nei prossimi anni». «Per noi rimane comunque un istituto strabico in quanto il referendum istituzionale non si applicherà ad altre decisioni del Gran Consiglio come, per esempio, quelle sulle entrate. In futuro si potrebbe pensare di allargare l’applicazione anche a queste ultime».
Per Fiorenzo Dadò, presidente del Ppd «l’augurio è che lo strumento del referendum finanziario obbligatorio indiretto sia di stimolo a Consiglio di Stato e Gran Consiglio a promuovere e approvare investimenti largamente condivisi che evitino inutili contrapposizioni regionali».
La Lega dei Ticinesi accoglie invece con “grande favore l’approvazione del Referendum finanziario obbligatorio (Rfo)”. “Il Ticino si dota così di uno strumento collaudato, che già esiste in varie forme in 18 cantoni. I cantoni che conoscono l’Rfo non sono né paralizzati, né retrogradi. E i loro cittadini non sono chiamati ossessivamente alle urne. Per contro, le finanze di questi cantoni sono messe meglio di quelle ticinesi”, si legge in una nota. “Con il moltiplicatore cantonale, la partitocrazia ha creato lo strumento che le consente di mettere le mani nelle tasche dei cittadini tramite aggravi fiscali, facendo così pagare ai contribuenti l’incapacità - o la mancanza di volontà - delle maggioranze politiche di controllare le uscite statali. L’Rfo è il necessario contraltare”, si conclude.