L’allora 19enne fu trovato con un arsenale in casa: secondo l’accusa voleva usarlo a scuola il giorno degli esami. Si professa innocente. La perizia: scemata imputabilità.
Completo scuro dalla sciancratura elegante, camicia bianca, cravatta con nodo Windsor. Mani curate, capelli imbrillantinati. E un Kalashnikov posato sulla spalla destra. Su Instagram si presentava così lo studente della Scuola cantonale di commercio arrestato due anni fa e accusato di voler fare una strage proprio nel giorno degli esami. Da oggi il suo caso finisce in aula, anche se il clamore della vicenda – insieme alle misure di sicurezza dovute al coronavirus – ha imposto alle Assise criminali di Bellinzona di scegliersi spazi più grandi, per la precisione il Palazzo dei congressi di Lugano. Le accuse: atti preparatori punibili di assassinio plurimo o in subordine di omicidio plurimo (nel caso in cui non sia riscontrata la particolare efferatezza del piano), ripetuta infrazione della legge federale sulle armi, accessori di armi e munizioni. Rischia più di 5 anni di carcere.
All’epoca, le foto sui social e le minacce di morte su Snapchat dell’allora 19enne svizzero – che ora si trova in una clinica psichiatrica romanda – avevano spinto alcuni compagni a segnalare il pericolo agli insegnanti. La direzione della scuola si era rivolta alla polizia cantonale, forte dell’allora neonato Gruppo per la gestione delle persone minacciose e pericolose, due poliziotti coordinati dalla psicologa Marina Lang. Un’osservazione durata meno di 24 ore e poi l’arresto, poco dopo le 10.30 del 10 maggio, in una casa del Bellinzonese nella quale l’imputato viveva con i genitori. Dentro, una ventina di armi: fucili, pistole, quell’AK-47 ‘replica’ semiautomatico, puntatori laser, munizioni. Tutto pronto, a quanto pare, per colpire pochi giorni dopo, il 15 maggio.
L’episodio aveva scosso gli oltre 1.200 allievi e i loro insegnanti della ‘Comme’, dove il ragazzo frequentava il terzo anno. Tanto più che veniva descritto come uno studente eccellente, attivo e disciplinato. Solo negli ultimi tempi sarebbe parso incupito e chiuso in se stesso. Oltre alla foto armato e ai messaggi su Snapchat – un’app i cui testi si cancellano da soli dopo 24 ore dall’invio – condivideva su Twitter post dei gruppi pro-armi americani: in uno si affianca Barack Obama ad Adolf Hitler tra i presunti nemici del secondo emendamento, quello secondo il quale “il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”. L’altra sua grande passione pare essere il football americano: è dei mitici Las Vegas Raiders la spilla che si vede nella famosa foto col kalashnikov.
Ma uno che vuole fare una strage, davvero lo annuncia prima alle sue vittime? Oppure il suo era solo “un grido d’aiuto”, come ha ipotizzato un compagno di scuola? “Non volevo compiere una strage”, ha sostenuto fin da subito l’imputato. E se lo stock di armi lascia pensare a una pianificazione a mente fredda, la perizia psichiatrica di fine 2018 parla invece di scemata responsabilità: ad annebbiare la mente del giovane, in particolare, sarebbe stato l’odio verso se stesso. Secondo gli inquirenti, in ogni caso, l’intenzione omicida non riguardava qualcuno in particolare: il rischio era che uccidesse chiunque si fosse trovato a tiro. Oggi si attende un aggiornamento circa il suo stato di salute mentale.
Al giudice presidente Mauro Ermani, ai colleghi Manuel Borla e Aurelio Facchi e agli assessori giurati spetterà anche chiarire come sia stato possibile accumulare un tale arsenale. Ai dubbi formulati in sede politica circa il facile accesso alle armi, il Consiglio di Stato ha sempre risposto che alcune armi non necessitavano di particolari autorizzazioni, che gli acquisti effettuati in Svizzera apparivano regolarmente controllati e che la legge è già “sufficientemente restrittiva”. Resterà da capire se altri acquisti siano stati effettuati illegalmente, e come.
A difendere l’imputato è l’avvocato Luigi Mattei, mentre la pubblica accusa spetta al procuratore Arturo Garzoni, che ha ereditato il faldone dal pensionato Antonio Perugini.