"Da un mese non ci rispondono", lamenta Adriano Venuti. E Marco Chiesa (Associazione proprietari fondiari): 'Il Cantone decida che ruolo vorrà giocare'
“Il Consiglio di Stato deve intervenire al più presto sulle pigioni delle piccole e medie imprese colpite dall’emergenza Covid-19”. Se non è un ultimatum, quello lanciato a colloquio con laRegione dal presidente della sezione ticinese dell’Associazione svizzera degli inquilini (Asi) Adriano Venuti, poco ci manca. Quello che non va giù “è la totale mancanza di ascolto” che ha fatto seguito alla lettera inviata dall’Asi lo scorso 9 aprile: “Abbiamo chiesto al governo di trovare una soluzione adeguata che permetta di salvaguardare molte attività commerciali che altrimenti rischierebbero il fallimento, con gravi conseguenze sia per le persone coinvolte che per l’economia in generale”, spiega Venuti. Un silenzio, quello del Consiglio di Stato, “che non ha giustificazione”.
Perché, riprende il presidente dell’Asi, “non c’è più tempo da perdere. Chi non ha potuto lavorare non può pagare le pigioni come se nulla fosse successo”. Un intervento dell'Esecutivo "è ancora più urgente dopo che il Consiglio federale si è rifiutato di farlo a livello nazionale, e dopo che le Camere federali stanno impiegando troppo tempo per decidere un intervento, considerato il nulla di fatto scaturito dalla sessione straordinaria dedicata al coronavirus appena conclusasi".
Va da sé, ci sono persone che fanno fatica. Al riguardo, Venuti rileva che “al nostro ufficio sono arrivate diverse segnalazioni, anche se riconosciamo che con alcuni proprietari si è riusciti a giungere a un compromesso”. Ad ogni modo, “ricordiamo che secondo una perizia giuridica commissionata dalla nostra associazione mantello, gli inquilini sono interamente o parzialmente dispensati dall’obbligo di pagare la pigione fino a che è vietato esercitare l’attività commerciale per la quale gli spazi sono stati locati”. Al contempo, “cogliamo l'occasione per invitare anche le amministrazioni comunali che non lo avessero già fatto a condonare, e non a sospendere, le pigioni dei locali commerciali di loro proprietà”. Insomma, “il governo risponda considerando che il nostro punto di partenza, condiviso con la Camera ticinese dell’economia fondiaria e la Svit Ticino, è il cosiddetto modello di Ginevra”.
A sollecitare il Consiglio di Stato, ieri, è stato anche il Partito socialista. Che sul tema degli affitti commerciali chiede "una soluzione cantonale". Nella nota firmata dai co-presidenti Fabrizio Sirica e Laura Riget assieme alla granconsigliera Anna Biscossa, il Ps ricorda che "ha presentato in tal senso già un mese fa una mozione (firmata da Biscossa, ndr.), ma da parte del Consiglio di Stato tutto tace. Il Ps rinnova ora il proprio invito al Governo ad agire con urgenza, seguendo l’esempio di Ginevra e di altri Cantoni". La mozione, concretamente, "chiede che lo Stato corrisponda ai proprietari degli immobili la metà dell’onere dovuto per l’affitto, spese non incluse, e inviti la Camera ticinese dell’economia fondiaria a incoraggiare i proprietari degli immobili a fare un passo a favore di queste categorie di inquilini, rinunciando a loro volta al versamento della metà dell’affitto dovuto". Il nulla di fatto scaturito dalle Camere federali, con il conseguente rinvio a giugno, per i socialisti è "una decisione incomprensbile di fronte alle enorme difficoltà che stanno vivendo i ristoranti, i negozi e altri spazi commerciali che hanno dovuto chiudere o ridimensionare la propria attività. Di fronte a questo stallo da parte del Consigliere federale Guy Parmelin e della maggioranza di centrodestra, occorre trovare una soluzione a livello cantonale".
Dal canto suo Marco Chiesa, consigliere agli Stati Udc e presidente in Ticino dell’Associazione proprietari fondiari (Apf-Hev Ticino) considera sia “certamente benvenuto il sedersi a un tavolo per trovare una soluzione cantonale concordata tra le parti, evitando così soluzioni improvvisate e controverse a livello federale. Sulla scorta dei modelli che sono entrati in vigore, soprattutto in Romandia, è possibile, anche grazie al sostegno del Cantone, mantenere intatta una fragile catena. Se, al contrario, questa dovesse spezzarsi, si andrebbero a creare delle conseguenze economiche e sociali disastrose”. Nel senso, prosegue Chiesa, che “c’è un interesse comune a dialogare affinché si trovi un consenso e un accordo che possa convenire a tutti. Un’ondata di fallimenti o di disdette da parte degli inquilini colpiti dalle chiusure, non gioverebbe certo neppure ai proprietari che hanno investito le loro risorse negli immobili e che rischiano di ritrovarli sfitti per molto tempo”. Insomma, “il muro contro muro oggi non è consigliabile. E l’importante a mio avviso, a questo punto, è capire quale ruolo vorrà giocare il Cantone, che è anch’esso parte interessata, ben conoscendo quali sono stati gli impegni finanziari che hanno messo in campo altre realtà come Vaud o Ginevra per garantire il buon esito delle concertazioni e il superamento di questa crisi”.