Oggi manca solo il restauro della parte storica, il resto dell’azienda è rinato dopo il rogo del 2020. Fontana: ‘È stata dura ma c’è tanta soddisfazione’
Sono passati cent’anni da quando il Mulino di Maroggia iniziò la sua attività nel luogo in cui si trova ora. Quattro da quando un violento incendio lo ha raso al suolo. E oggi è pronto a rinascere nella sua nuova forma. Manca soltanto l’ultima fase, quella che per Alessandro Fontana, titolare dell’azienda, è quella più dettata dai sentimenti. «Abbiamo iniziato a restaurare lo stabile storico, che tra gennaio e febbraio dovrebbe essere completato. Una scelta più di cuore che di ‘borsellino’, ma per noi era importante che si mantenesse l’architettura originale». È la parte sulla quale si poteva vedere il primo logo con le tre ‘M’ e la scritta ‘Mulino di Maroggia’. Rimangono ancora sconosciute le cause di quell’incidente. «L’inchiesta sulle origini del rogo si è conclusa in un non luogo a procedere. Le cause sono rimaste ignote ma è stato escluso l’intervento di terzi».
Fontana ci accoglie sul piazzale dove si manifesta imponente l’ombra delle due torri, quella che ha resistito alle fiamme e quella nuova, dove viene conservata la materia prima, per una capacità stimata di 1’200 tonnellate ciascuna. Sono il simbolo e il fulcro della verticalità che, come in tutti i mulini, viene sfruttata per usufruire della forza di gravità e risparmiare energia. Non è lì che siamo diretti, ma nel corpo centrale dove vediamo il gioiello dell’azienda: l’impianto operativo completamente automatizzato dove avviene la produzione della farina. Un impianto che non si ferma mai. «Funziona 24 ore su 24, e se c’è un minimo problema ci viene segnalato sui vari dispositivi connessi, permettendoci di avere tutto sotto controllo, in qualsiasi momento».
Era il 23 novembre 2020. Un forte boato. Fuoco e fiamme si innalzavano al cielo, mentre il fumo si impossessava dell’aria. L’odore di quel rogo aveva raggiunto anche i paesi vicini. Una delle torri, quella fatta di legno, è crollata. La struttura centrale e la parte storica quasi integralmente distrutte. Ci sono voluti otto giorni per riuscire a domare l’incendio e mettere l’area in sicurezza. Ed è proprio a quei momenti, dove non c’era tempo da perdere, che sono nate le fondamenta di quella che è diventata oggi l’azienda. «A metà dicembre 2020 abbiamo subito organizzato una riunione con la multinazionale Svizzera Bühler, specializzata nell’impiantistica, per iniziare a progettare una soluzione. Prima abbiamo pensato all’impianto e poi alla scatola che lo avrebbe contenuto. Sette mesi dopo, in tempi record, eravamo pronti con l’intero incarto per la domanda di costruzione. Altri sette mesi sono passati e finalmente sono arrivati i permessi. A febbraio 2022 abbiamo iniziato con le fondamenta e a dicembre dello stesso anno eravamo già a tetto. L’anno dopo abbiamo installato, completato e testato il nuovo impianto». La produzione, nel frattempo e nonostante tutte le avversità, non è mai stata interrotta.
«La sfida più grande – ci spiega Fontana – è stata proprio la parte operativa. Non potevamo metterci troppo a ricostruirla perché l’azienda non sarebbe sopravvissuta a livello economico altrimenti. Oltre a questo, si è sommato il Covid, e dopo quello anche lo scoppio della guerra in Ucraina, con i prezzi delle materie prime schizzati alle stelle». Inoltre, aggiunge Fontana, «se l’azienda Bühler non fosse stata in Svizzera e se non avessimo avuto con loro un rapporto centenario non saremmo a gestire il progetto così rapidamente». Un rapporto centenario perché «il mio bisnonno lavorava per loro a San Gallo». E qui ci racconta un aneddoto. «Spinto dalla curiosità di conoscere meglio quanto facesse mio nonno come responsabile della fabbrica, ho chiesto al Ceo se avessero dei documenti che raccontassero quanto il mio bisnonno ha fatto per quell’azienda e di cosa si occupava. Ero curioso. Nonostante sia un’azienda con cent’anni di archivio e con migliaia di impiegati sono riusciti a trovare tutte le informazioni. È stata un’emozione grandissima e un bellissimo regalo». Il Mulino di Maroggia, grazie alla sua avanzata tecnologia riceve visite «da vari produttori della Svizzera e anche dall’estero. Questo perché è un impianto unico nel suo genere ed è tra i primi di questo tipo, completamente automatizzato».
Quell’incidente ha inevitabilmente segnato la storia del Mulino, e di chi ci lavora. Ma la determinazione e la prontezza dell’azienda hanno fatto sì che non ci si arrendesse e che da quelle ceneri si rinascesse più forti di prima. «Quando mi chiedono come è stato affrontare questi anni – ci dice – mi sembra che da un lato siano volati. Eppure guardando a quello che abbiamo fatto in così poco tempo mi sembra qualcosa di incredibile. È stata veramente dura affrontare tutte le conseguenze di quell’incendio. Mi sono reso conto a marzo, quando finalmente sono riuscito a tirare un po’ il fiato, che in questi anni non ho quasi vissuto per dedicarmi all’azienda. Oggi però la soddisfazione è tanta».