Magistrato con 30 anni di esperienza, terminerà il suo mandato giovedì. Le prese di posizione? 'La giustizia non deve solo esistere, ma anche mostrarsi'
Giovedì sarà il suo ultimo giorno di lavoro: dopo quasi trent'anni Antonio Perugini lascerà la Procura e andrà in pensione. Obiettivo: «Fare l'homo faber» in modo da potersi occupare «di ciò che non ho avuto il tempo di fare: giardinaggio, manutenzioni e, soprattutto, la meccanica, che è sempre stata la mia passione». Tra le prime attività nell'elenco, la cura di quel Volkswagen Maggiolino che per anni si poteva veder parcheggiato fuori dal pretorio di Bellinzona. Segno che Perugini era in sede.
Lo abbiamo incontrato questo pomeriggio, assieme ai colleghi di RadioTicino, per stilare con lui un bilancio del suo operato quale Pp. Un'ora di chiaccherata in cui Perugini, già sostituto procuratore generale nell'era Noseda, non si è sottratto a nessuna domanda, da quelle sulla canapa (fu lui a guidare l'operazione Indoor) alla recente scelta del parlamento di non eleggerlo quale procuratore generale. Un'intervista a tutto campo con un magistrato che in passato aveva comunque più volte già fatto sentire la sua voce sui temi che toccano la magistratura. "Pensa sia importante che un Pp possa esprimersi pubblicamente?", gli abbiamo chiesto.
La giustizia non deve solo esistere, deve anche mostrarsi. Là dove ci sono dei fenomeni che hanno un impatto estremamente importante nella vita sociale è un dovere quello di parlare. Il fascino dell'attività di procuratore pubblico, soprattutto per quanto mi riguarda, è l'avere la possibilità di essere un avamposto in grado di osservare i cambiamenti in atto nel mondo della criminalità. È un dovere quello di sensibilizzare la popolazione su quello che sta avvenendo. È quanto è successo con l'inchiesta Indoor: il pericolo grosso era che tutto il settore agricolo ticinese scomparisse e tutti iniziassero a coltivare canapa. C'era già il Vallese che stava subentrando alla produzione di pomodori.
Un magistrato che deve anche fare della politica giudiziaria?
Certo, proprio perché noi siamo i primi, assieme alla polizia, ad avvertire i fenomeni che stanno per arrivare. È nostro dovere renderli pubblici.
Procuratore, cosa l’ha spinta a entrare in magistratura?
«Il fascino di questa attività e la grande libertà che ti può dare: un’attività che comporta comunque una notevole responsabilità. A suo tempo sono stato onorato dalla possibilità che mi è stata data di entrare in magistratura e di servire istituzionalmente questo Paese, al quale voglio estremamente bene. Di servirlo con la ferma convinzione che non c’è pace senza giustizia e non cè giustizia senza pace. Laddove l’una o l’altra manca non possono che esserci conflitti, guerre».
Uno o più consigli a coloro che aspirano alla carica di procuratore pubblico?
«Soprattutto di avere coraggio e di apprezzare quella libertà cui accennavo prima. E di decidere con fermezza e senso di responsabilità. Nella consapevolezza che è un onore servire il Paese da un avamposto, il Ministero pubblico, fondamentale per la tranquillità e la sicurezza pubbliche».
Domani sul giornale, l'intervista integrale.