Morte per infezioni non più curabili 276 persone. Perché l'abuso di antibiotici, anche in veterinaria, porta allo sviluppo di batteri sempre più resistenti
L’apparizione di superbatteri resistenti agli antibiotici, soprattutto (ma non solo) nelle cure intensive degli ospedali, apre scenari inquietanti: torneremo all’era in cui si moriva per infezioni? Già 33mila persone sono decedute nel 2015 in Europa, perché gli antibiotici non funzionavano più; in Svizzera le vittime sono state 276.
Nei nostri ospedali crescono le infezioni – come da E. coli alle vie urinarie – sempre più difficili da trattare, perché i batteri sono super e le cure disponibili fanno l’effetto dell’acqua fresca o quasi. In Svizzera, come in Europa, le autorità assieme a medici, farmacisti, veterinari e agricoltori hanno avviato strategie, investendo milioni, per ridurre l’abuso di antibiotici in medicina (anche il fai da te!), in veterinaria e intervenire sulla contaminazione delle acque. La questione è seria: l’incubo dei superbatteri potrebbe farci regredire al Medioevo della medicina. Un paziente debilitato in ospedale oggi può morire di una banale infezione come succedeva prima dell’era antibiotica. In Inghilterra hanno stimato che i batteri resistenti potrebbero infettare 200mila persone determinando un’emergenza nazionale, se la ricerca farmaceutica non individuerà rimedi efficaci.
Davanti a questi scenari non serve angosciarsi – perché ansia e paura ci indeboliscono ulteriormente – ma è bene essere informati.
Non possiamo controllare cosa c’è nell’acqua, dove in Svizzera vengono sporadicamente trovati batteri resistenti agli antibiotici. Giungono nei laghi e fiumi con le acque reflue. Gli impianti di depurazione ne eliminano fino al 99% e Berna promette che verranno migliorati.
Possiamo invece evitare di prendere antibiotici, quando non servono. Sono medicamenti che uccidono i batteri o ne limitano la crescita, ma sono inefficaci contro i virus. Contro sinusiti, bronchiti o raffreddori sono dunque spesso inutili. Un recentissimo studio sui medici di famiglia elvetici evidenzia che prescrivono antibiotici in 29 casi ogni mille pazienti, un dato inferiore al 2013 (erano 40 ogni 1’000 visite). Perché tante pillole inutili? Per la pressione dei pazienti, per l’insistenza di un genitore col bimbo febbricitante, per non perdere un cliente?
Il Ticino non è messo bene, ha un consumo pro capite di antibiotici superiore ai cugini della Svizzera tedesca, ma sta migliorando anche grazie ad una campagna negli ospedali che promuove terapie di antibiotici efficaci, ma più corte, per evitare appunto lo sviluppo di resistenze. E c’è di più: è emerso da una studio interno che in uno dei quattro ospedali ticinesi (alla dimissione da chirurgia) si prescriveva ai pazienti il 14,4% di antibiotici in più della media. Insomma, anche tra medici e chirurghi c’è chi va sensibilizzato, perché differenze così grandi tra nosocomi non sono giustificabili.
Infine c’è il capitolo dei veterinari, dove un abuso di antibiotici può causare la selezione di germi che poi arrivano nella nostra catena alimentare. Mangiamo prodotti che hanno una minima contaminazione batterica. Questi germi arrivano nel nostro intestino con fattori di resistenza, già acquisiti nell’animale, trasmettendo la resistenza ai nostri batteri. Nei campioni di carne di pollame contaminati da Escherichia coli, la metà dei batteri è risultata resistente a numerose classi di antibiotici (in quella svizzera, tali batteri erano presenti nel 41,9%, un valore in diminuzione).
Scegliere in modo responsabile che cosa mangiare, come curarsi e come curare gli animali, fa la differenza, perché siamo tutti legati: la scelta del singolo ha ripercussioni sulla collettività.