L'università di Ginevra propone di incentivare finanziariamente le case farmaceutiche per studiare nuovi farmaci
Premi per un valore complessivo di 800 milioni di dollari annui per l’immissione sul mercato di nuovi antibiotici. È di questa portata l’incentivo suggerito da un consorzio internazionale di ricerca guidato dall’Università di Ginevra (Unige) per rendere più attrattivi lo sviluppo e la ricerca in questo ambito. Così facendo, sostiene un comunicato dell’Unige diffuso ieri, nei prossimi 30 anni potrebbero essere prodotti da 20 a 30 nuovi preparati che rispettano l’utilizzo responsabile e l’accesso equo del prodotto.
Il problema è noto: «Alcuni batteri sono diventati resistenti praticamente a tutti gli antibiotici – dice il dottor Carlo Balmelli, responsabile del servizio centrale di prevenzione delle infezioni dell’Ente ospedaliero cantonale, a ‘laRegione’ –. In questi casi ci troviamo in una situazione nella quale non si può curare il proprio paziente. Alle ditte farmaceutiche si chiede quindi di risolvere questa situazione».
A causa dei batteri resistenti agli antibiotici, in Svizzera muoiono ogni anno centinaia di persone e nell’Unione europea circa 25mila. «Il fenomeno si osserva a livello mondiale: ci sono zone nelle quali certi tipi di infezioni non si riescono quasi più a curare. Il problema è che la resistenza dei batteri aumenta più rapidamente di quanto impieghino i nuovi antibiotici ad arrivare sul mercato», afferma Balmelli. Lo scopo di incentivare lo sviluppo di nuovi preparati è quindi quello di «continuare ad avere medicamenti che siano effettivi per curare le infezioni».
Ma perché i batteri diventano sempre più resistenti? «È la loro strategia di sopravvivenza. Però evidentemente anche l’utilizzo massiccio e inappropriato degli antibiotici favorisce questo fenomeno», sottolinea il medico. «Un esempio di uso improprio è la somministrazione di antibiotici per ogni tipo di infezione delle vie respiratorie, in particolare in inverno, quando si sa che sono quasi sempre virus a causarle. Oppure quando un paziente non rispetta le indicazioni del medico sull’uso e la durata della cura. O addirittura quando si prendono senza l’avviso medico», precisa Balmelli. «Secondo alcuni studi, in Svizzera il problema non è però così esteso: la popolazione sembrerebbe sapere come si utilizzano in modo appropriato».
E che dire dell’utilizzo di antibiotici nel mondo animale? «Quello che si sa è che certi tipi di resistenze nei batteri (che in parte si sono poi trasmesse all’uomo) si sono sviluppate dal trattamento di animali con antibiotici. Ma non è l’unica causa: le resistenze si sono anche sviluppate negli ospedali, mentre di altre non conosciamo con precisione l’origine».
Anche secondo l’Organizzazione mondiale della sanità la resistenza agli antibiotici è una delle principali minacce per la salute pubblica nel mondo. È quindi necessario svilupparne nuovi. «È questo che si chiede alle ditte farmaceutiche. Poi una volta sviluppati bisognerebbe usarli il meno possibile, cioè solo quando è strettamente necessario e quando si sa che servono a combattere determinate infezioni batteriche. Questo proprio per preservarne l’efficacia e per ritardare il più possibile lo sviluppo di una resistenza da parte dei batteri», precisa Balmelli.
Secondo questo progetto è però necessario incentivare le case farmaceutiche a produrre nuovi antibiotici: «Le ricerche e lo sviluppo costano centinaia di milioni. Poi quando il prodotto è finito i medici chiedono che venga utilizzato il meno possibile. Per questo motivo è necessario dare incentivi alle ditte farmaceutiche», conclude Balmelli.