Svizzera

Soldi per lo sviluppo di nuovi antibiotici

L'università di Ginevra propone di incentivare finanziariamente le case farmaceutiche per studiare nuovi farmaci

25 gennaio 2018
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Premi per un valore complessivo di 800 milioni di dollari annui per l’immissione sul mercato di nuovi antibiotici. È di questa portata l’incentivo suggerito da un consorzio internazionale di ricerca guidato dall’Università di Ginevra (Unige) per rendere più attrattivi lo sviluppo e la ricerca in questo ambito. Così facendo, sostiene un comunicato dell’Unige diffuso ieri, nei prossimi 30 anni potrebbero essere prodotti da 20 a 30 nuovi preparati che rispettano l’utilizzo responsabile e l’accesso equo del prodotto.

Il problema è noto: «Alcuni batteri sono diventati resistenti praticamente a tutti gli antibiotici – dice il dottor Carlo Balmelli, responsabile del servizio centrale di prevenzione delle infezioni dell’Ente ospedaliero cantonale, a ‘laRegione’ –. In questi casi ci troviamo in una situazione nella quale non si può curare il proprio paziente. Alle ditte farmaceutiche si chiede quindi di risolvere questa situazione».

A causa dei batteri resistenti agli antibiotici, in Svizzera muoiono ogni anno centinaia di persone e nell’Unione europea circa 25mila. «Il fenomeno si osserva a livello mondiale: ci sono zone nelle quali certi tipi di infezioni non si riescono quasi più a curare. Il problema è che la resistenza dei batteri aumenta più rapidamente di quanto impieghino i nuovi antibiotici ad arrivare sul mercato», afferma Balmelli. Lo scopo di incentivare lo sviluppo di nuovi preparati è quindi quello di «continuare ad avere medicamenti che siano effettivi per curare le infezioni».

Ma perché i batteri diventano sempre più resistenti? «È la loro strategia di sopravvivenza. Però evidentemente anche l’utilizzo massiccio e inappropriato degli antibiotici favorisce questo fenomeno», sottolinea il medico. «Un esempio di uso improprio è la somministrazione di antibiotici per ogni tipo di infezione delle vie respiratorie, in particolare in inverno, quando si sa che sono quasi sempre virus a causarle. Oppure quando un paziente non rispetta le indicazioni del medico sull’uso e la durata della cura. O addirittura quando si prendono senza l’avviso medico», precisa Balmelli. «Secondo alcuni studi, in Svizzera il problema non è però così esteso: la popolazione sembrerebbe sapere come si utilizzano in modo appropriato».

E che dire dell’utilizzo di antibiotici nel mondo animale? «Quello che si sa è che certi tipi di resistenze nei batteri (che in parte si sono poi trasmesse all’uomo) si sono sviluppate dal trattamento di animali con antibiotici. Ma non è l’unica causa: le resistenze si sono anche sviluppate negli ospedali, mentre di altre non conosciamo con precisione l’origine».

Anche secondo l’Organizzazione mondiale della sanità la resistenza agli antibiotici è una delle principali minacce per la salute pubblica nel mondo. È quindi necessario svilupparne nuovi. «È questo che si chiede alle ditte farmaceutiche. Poi una volta sviluppati bisognerebbe usarli il meno possibile, cioè solo quando è strettamente necessario e quando si sa che servono a combattere determinate infezioni batteriche. Questo proprio per preservarne l’efficacia e per ritardare il più possibile lo sviluppo di una resistenza da parte dei batteri», precisa Balmelli.

Secondo questo progetto è però necessario incentivare le case farmaceutiche a produrre nuovi antibiotici: «Le ricerche e lo sviluppo costano centinaia di milioni. Poi quando il prodotto è finito i medici chiedono che venga utilizzato il meno possibile. Per questo motivo è necessario dare incentivi alle ditte farmaceutiche», conclude Balmelli.