Mendrisiotto

Caso principe etiope: ‘Alle vittime è mancato il senso critico’

Il difensore del sedicente erede imperiale, sostiene che i tre imprenditori del Mendrisiotto si sarebbero dovuti accorgere dell'inganno

(Ti-Press Archivio)
14 giugno 2023
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«Se un amico di vecchia data vi proponesse di acquistare un biglietto per Giove, magari con scalo su Marte, si tratterebbe di truffa perché sfrutta il vostro rapporto di amicizia? Non credo proprio». Si può riassumere in questa frase l'arringa dell'avvocato Andrea Minesso, difensore del sedicente principe etiope, tornato in aula in questi giorni dopo essere ricorso in Appello alla condanna di sei anni emessa nel settembre del 2022. L'arringa si è tenuta questa mattina, mercoledì, davanti alla Corte di appello e revisione penale di Locarno, presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will.

In sostanza, la tesi di Minesso sostiene che non vi possa essere il reato di truffa per mestiere, in quanto il valore dei titoli di cui il ‘principe’ avrebbe garantito di essere prossimo a entrare in possesso, e di cui avrebbe promesso una parte ai tre imprenditori momò, era inverosimile già in partenza. Mancherebbe dunque la componente di astuzia per essere considerata truffa, perché questi ‘German gold bond’ possedevano un valore di 178 miliardi di dollari, una cifra superiore all'attuale prodotto interno lordo (Pil) di ben 158 Paesi.

Ignorati i campanelli di allarme

«I tre accusatori privati non sono persone normali – ha continuato Minesso –: il primo è un fiduciario e contabile federale, il secondo è un grande imprenditore, il terzo è un ex direttore di banca», e per tanto si sarebbero dovuti accorgere dei molteplici campanelli di allarme. Insomma, per dirla con l'avvocato, «è mancato lo spirito critico». «Com'è possibile che abbiano creduto al fatto che il governo tedesco avrebbe versato una simile cifra, a un privato, in assoluta segretezza?». E poi ancora: «Già nel 2000 gli era stato detto (al fiduciario, ndr) che il pagamento stava per arrivare. E lui ha continuato a crederci senza fare le dovute verifiche».

Sembra infatti che, salvo verificare l'autenticità dei bond, il fiduciario non si sia rivolto a nessuno specialista per assicurarsi che fosse effettivamente possibile riscuotere tale somma, di cui a lui era stata promessa una fetta di oltre un miliardo di franchi. Anche agli altri due imprenditori erano state promesse cifre milionarie, in cambio di prestiti che sarebbero serviti al principe per far fronte a spese di varia natura.

Minesso ha dunque richiesto per il suo assistito l'assoluzione dal reato di truffa per mestiere - mentre sussiste quello di falsità in documenti - e la riduzione della pena a un massimo di tre anni. In via subordinata ha richiesto che il reato di truffa fosse emesso solamente nei confronti del fiduciario. L'accusa non ha commentato l'arringa, mentre l'imputato ha dichiarato di aver già fatto le proprie scuse e di rimettersi alla decisione della Corte.

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