Per la Procura il caso dell’incendio del dicembre 2020 a Mendrisio è chiuso. Sin qui non è stato possibile identificare i responsabili
Adesso la decisione è di quelle conclusive. Di recente la Procura ha emesso, infatti, il decreto di sospensione definitiva dell’inchiesta. Era nell’aria, ma ora è ufficiale: il caso del rogo alla Pm Ecorecycling del dicembre del 2020 a Mendrisio è, di fatto, chiuso e archiviato. Chi, in questa vicenda, è dalla parte delle vittime - il titolare della ditta e il proprietario del terreno di via Adorna -, avrebbe però sperato in un altro epilogo. Contava (e conta ancora) di poter dare un volto agli ignoti che nei giorni precedenti il Natale di ormai due anni orsono hanno dato fuoco (per la seconda volta dopo un episodio simile nel dicembre del 2016) al deposito di pneumatici. Invece, nonostante le prove raccolte - incluse le immagini video di due persone - gli inquirenti non sono riusciti, sin qui, a identificare i responsabili.
Di conseguenza, agli occhi del procuratore Pablo Fäh, titolare delle indagini, non è rimasto che giungere, come detto, alla sospensione, preludio all’abbandono dell’incarto aperto per incendio intenzionale, in subordine incendio colposo. Coloro che il danno l’hanno subito, però, dal canto loro, non hanno nessuna intenzione di lasciare il campo. Tanto da valutare, proprio in queste ore, la prossima mossa.
Che da parte loro non ci fosse nessuna intenzione di arrendersi lo si era capito già a inizio anno, quando il procuratore aveva firmato la chiusura dell’istruzione, prospettando appunto la sospensione del procedimento penale dopo aver invocato l’articolo 314 (capoverso 1, lettera a) del Codice di procedura penale. Articolo che recita così "Il pubblico ministero può sospendere l’istruzione in particolare se: l’autore o il suo luogo di soggiorno non è noto oppure sono temporaneamente dati altri impedimenti a procedere (...)". Non a caso davanti a quella prospettiva gli attori coinvolti - a cominciare da quanti si sono costituiti accusatori privati - non sono rimasti a guardare. Tanto da appellarsi alla Corte dei reclami penali, la quale, peraltro aveva dato loro ragione, annullando il decreto e rimettendo i faldoni nelle mani della Procura. Nel pronunciare la decisione, si era motivato, il magistrato inquirente aveva ‘omesso’ di preannunciare le sue intenzioni, dando modo alle parti di visionare atti e prove.
Tornati ai piedi della scala, il risultato finale non è comunque cambiato. Nelle vittime resta forte l’urgenza di andare alla ricerca della verità, a tal punto da avanzare altresì la richiesta di coinvolgere il Ministero pubblico della Confederazione. Farlo ripartendo proprio dalle due figure sospette riprese dall’occhio elettronico una dozzina di minuti prima di vedere un bagliore e quindi alzarsi le fiamme.