Il capoluogo del Distretto è il primo (e unico) Comune ad aver fatto suoi strumenti e risorse messi in campo a livello federale e cantonale
Sono donne per lo più, ma sono anche uomini. Sono persone di mezza età, ma alcuni sono davvero giovani. Ma soprattutto si dividono tra casa, lavoro e l’aiuto e l’assistenza a un proprio caro. Li chiamano familiari curanti e sono davvero in tanti: in Ticino le fonti statistiche ne contano oltre 50mila mila. E tutti si ritrovano confrontati con una necessità urgente: conciliare una quotidianità complessa. Una esigenza alla quale oggi cercano di dare una risposta, per prime, le istituzioni pubbliche. Tra queste, accanto alla Confederazione e al Cantone, c’è pure la Città di Mendrisio, che giusto quest’anno è entrata a far parte della piattaforma attivata in Ticino. Di fatto, per ora, è il solo Comune che ha deciso di far propri gli strumenti legislativi e le risorse finanziarie messi a disposizione di recente. L’obiettivo dichiarato? Dare una mano dentro e fuori l’amministrazione a quanti rivestono un ruolo che ha un valore reale per un lavoro di fatto non retribuito. Non è un caso se in questi ultimi anni quello dei familiari curanti è divenuto un tema politico e neppure si è dedicata loro una Giornata, quella del 30 ottobre. Poste le basi legali, adesso è venuto il momento di passare all’azione e il capoluogo è pronto a lanciare, mercoledì, da LaFilanda una campagna di sensibilizzazione e supporto alla popolazione locale. Testimonial d’eccezione sarà il Consigliere di Stato e direttore del Dipartimento sanità e socialità (Dss) Raffaele De Rosa: per le autorità comunali è una presenza che vale un riconoscimento.
«Il modello di società è cambiato - chiarisce subito a ‘laRegione’ Françoise Gehring, a capo del dicastero Politiche sociali e Politiche di genere -. Il focus si è spostato sul mantenimento a domicilio delle persone fragili ed ecco che il peso del familiare curante è divenuto importante per assicurare il benessere della persona assistita in tutte quelle che sono cure non specialistiche. La Città in questo caso ha operato una scelta di campo. E avendo già inforcato gli ‘occhiali di genere’, per noi è stato naturale iniziare a valutare questa forma di conciliabilità, una tematica centrale, e incrociare le due politiche». A Mendrisio non si nasconde con un pizzico di orgoglio la soddisfazione di aver rotto il ghiaccio in questo ambito importante.
Di sicuro l’autorità cantonale confida nell’effetto ‘apripista’ dopo aver investito sul dossier dei familiari curanti al pari della Confederazione. A dare una svolta, va riconosciuto, sono stati prima (nel 2014) il Piano d’azione, quindi (nel 2019) la nuova legge federale determinata a migliorare la conciliabilità tra attività lucrativa e assistenza ai familiari, peraltro una realtà giusto da quest’anno. «Una spinta - ci fa notare Tiziana Madella, responsabile dell’Ufficio antenna sociale - è arrivata però, nel 2018, anche dalla riforma cantonale fiscale e sociale del 2018, tramite la quale si è previsto un pacchetto di misure sociali ad hoc. Grazie al sostegno ricevuto dal Cantone, infatti, abbiamo avviato un percorso di sensibilizzazione e informazione che si rivolge alla cittadinanza, dunque in particolare ai familiari curanti - da lì l’incontro pubblico di mercoledì, con inizio alle 18, per “offrire sostegno a chi offre sostegno”, ndr -, ma coinvolge altresì la formazione di quadri e operatori sociali comunali». Un approccio, quello a cui ha aderito la Città, che vede al fianco dell’amministrazione l’Associazione Equi-Lab, il consulente ufficiale designato da Palazzo delle Orsoline per accompagnare gli enti locali in questo cammino verso la capacità di porre in equilibrio vita lavorativa e vita familiare.
In effetti, dentro e fuori Palazzo civico ci si ritrova a dover reagire a bisogni puntuali. Da una parte, ci spiega ancora Tiziana Madella, è strategico evitare ai familiari curanti «il rischio di essere sovraccarichi di impegni e sentirsi da soli a farvi fronte»; dall’altra si parte dai dirigenti comunali per «smuovere alcuni stereotipi di genere e rompere con dei modelli tuttora presenti, così da saper leggere bisogni e disagi del personale chiamato ad aiutare un proprio caro e favorire un ambiente di lavoro più inclusivo, garantendo tutte le misure di diritto». In realtà, i luoghi comuni nel mondo delle persone che sono vicine al loro caro in difficoltà sono già stati superati dall’urgenza della quotidianità: come detto ci sono anche degli uomini (e non pochi) ad assumere una veste tradizionalmente declinata al femminile. Sul fronte dei cambiamenti culturali, però, c’è ancora molta strada da fare; e questa per Mendrisio, come tiene a ribadire la responsabile dell’Ufficio antenna sociale, rappresenta «un’occasione nell’ambito dell’educazione di genere e nel lanciare un ponte tra famiglia e professione nel solco della conciliabilità».
La legge, va detto, non fa distinguo. E allora, esorta Madella, è legittimo domandare «uno sforzo di riflessione sui nostri pregiudizi. Donne e uomini, indistintamente, devono avere la possibilità di decidere come conciliare i propri bisogni familiari». Una volta di più, ci fa capire, l’obiettivo è allontanare anche solo l’idea che sul luogo di lavoro si possa finire in burnout o essere vittima di mobbing, continuando a svolgere le proprie mansioni in serenità. Non si può dimenticare, infatti, che i familiari curanti rappresentano, sottolinea l’operatrice, «una rete informale fondamentale in termini di sistema sanitario». Gli aiuti prestati, come si riconosce anche a livello cantonale e nelle recenti pubblicazioni tematiche (come ‘Familiari curanti, un sostegno alla vostra quotidianità’ edito dal Dss), sono “strettamente correlati e complementari alle prestazioni fornite dai professionisti”.
Un Comune, in qualità di ente di prossimità, può rivelarsi, quindi, un alleato prezioso per i familiari curanti. E Mendrisio lo sta dimostrando. Tanto l’AlternativA che il gruppo Ppd-Gg-Verdi liberali vorrebbero ancorare questo impegno anche al Regolamento organico dei dipendenti (Rod) della Città. Una aspirazione che hanno tradotto in una mozione per mano di Daniele Stanga (AlternativA) e Davina Fitas (Ppd). L’auspicio? Che la Città "promuova la conciliabilità lavorativa dei familiari curanti e assicuri ai propri dipendenti almeno quanto richiesto a tutti gli altri datori di lavoro privati“ (tramite le modifiche di legge e del Codice delle obbligazioni). Oggi, fanno presente i due consiglieri comunali, il Rod prevede un congedo per l’assistenza ai figli malati di tre giorni, “ma non riconosce alcun diritto per la cura di un altro famigliare”.
A questo punto occorre “migliorare sensibilmente la conciliabilità lavorativa”, adeguandosi alle disposizioni federali e cantonali. Come? Inserendo, a fronte di necessità certificate, il diritto a “un congedo di corta durata per assistere un proprio familiare con problemi di salute e il diritto a un congedo supplementare per la malattia dei figli fino all’età dei 15 anni” e prevedendo un ulteriore “congedo di assistenza di 14 settimane per curare un/a figlio/a minorenne gravemente ammalato/a in caso di diritto alle prestazioni IPG (indennità di perdita di guadagno)”. Del resto, si annota nella mozione, "il bisogno di assistenza di una persona è altresì un criterio di necessità”.