Il caso delle tre industrie fa reagire l’AlternativA di Mendrisio. E i Verdi replicano a Ticino Manufacturing
Non è andata giù a gran parte della politica regionale e cantonale l’operazione messa in campo dalle tre industrie del Mendrisiotto, pronte a virare verso un Contratto collettivo di lavoro. Quel Ccl che dà loro modo di evitare l’introduzione del salario minimo, ora ancorato alla legge cantonale e in vigore da dicembre. Anche le dichiarazioni di Ticino Manufacturing hanno fatto subito reagire i Verdi del Ticino, che alla nuova norma e alla sua valenza sociale “hanno sempre creduto fino in fondo”.
Si minaccia la delocalizzazione? “Non possiamo che ribadire quanto abbiamo sempre sostenuto: a chi giova mantenere sul territorio ticinese aziende senza valore aggiunto? – interroga il gruppo –. Non al territorio e non ai lavoratori. Quindi se dovessero partire nessuno li rimpiangerà”, taglia corto. Ciò non toglie che quanto sta accadendo nel distretto lascia “perplessi” i Verdi. In effetti, è una questione di dignità salariale. “Se le aziende con Ccl sono state escluse dalla normativa – rendono attenti in una nota – è perché si dà per scontato che il quadro complessivo delle condizioni di lavoro siano superiori al minimo, non certo per aggirare la legge pagando salari da fame. Se i partner sociali sono i primi a fare i furbetti bisognerà impedirglielo”.
A dar voce alle sue preoccupazioni, di fronte a quel “maldestro e pericoloso tentativo di aggirare la volontà popolare espressa nella votazione sul salario minimo e i diritti di lavoratrici e lavoratori ticinesi, già da troppo tempo sotto attacco”, è altresì l’AlternativA di Mendrisio. Del resto, due delle tre aziende – Plastifil e Ligo Electric – hanno la loro base in Città. Questo episodio, si richiama in una nota, “dimostra una volta ancora come la strategia politica consistente nell’effettuare concessioni, anche considerevoli, al settore privato (che sia sotto forma di sgravi fiscali, di agevolazioni sui Piani regolatori, di incentivi diretti, …) aspettandosene poi in cambio una ricaduta positiva per il pubblico (posti di lavoro, entrate fiscali e tutta la trickle down economy cantante) non funziona senza precise regole, condizioni e controlli: non funziona, insomma, se lo Stato rinuncia del tutto al suo ruolo in nome della maggiore libertà di mercato possibile”.
Per il gruppo sarebbe “ora di promuovere una vera politica del lavoro, una solida politica occupazionale, pensando a sviluppare i settori legati alla cura e all’ambiente”. Con una speranza: “Che l’accaduto sia di monito a chi, in tutto il Ticino, ancora porta avanti l’idea che lo Stato debba delegare il più possibile alla buona fede dei singoli (alla responsabilità individuale, per sfondare una porta aperta di questi tempi), che la colpa dei salari bassi non sia da cercarsi sul nostro territorio e che regole e controlli non servono perché nessuno – almeno nessuno dei nostri – può essere malintenzionato”.
A ‘inquietare’ tanto i Verdi a livello cantonale che l’AlternativA (Verdi e Sinistra) cittadina sono poi i legami politici dietro le quinte. E il riferimento neanche troppo velato è alla Lega dei ticinesi, sostenitrice, ricordano i Verdi, del salario minimo. “Sembra paradossale – scrivono – che prima si è a favore di buste paga più dignitose per favorire un maggior numero di lavoratrici e lavoratori residenti, e poi si fa in modo di favorire l’assunzione quasi esclusiva dei frontalieri aiutando aziende a sottoscrivere Contratti collettivi con salari indegni”.