Ticino Manufacturing reagisce alle accuse di sindacati e politica, e contrattacca. ‘O così o licenziamenti di massa e produzioni all’estero'
A detta di Ticino Manufacturing il Mendrisiotto del manifatturiero l’avrebbe scampata bella. A uscire allo scoperto dopo giorni di silenzio - nonostante i tentativi de ‘laRegione’ di contattare un’altra organizzazione, TiSin - è l’associazione presieduta da Costantino Delogu. E lo scenario che dipinge è nero: “licenziamenti di massa” fra lavoratori senza qualifica come tra operai specializzati; aziende pronte a delocalizzare in parte o del tutto la produzione. Insomma, senza quel Contratto collettivo di lavoro (Ccl) messo in mano alle maestranze delle tre industrie del distretto – la Plastifil a Mendrisio, la Ligo Electric a Ligornetto e la Cebi (ex Mes-Dea) a Stabio –, si fa capire a chiare lettere, le conseguenze sarebbero state nefaste per l’economia locale. Tanto più che, quell’accordo, lo si è raggiunto “dopo un intenso dialogo con le parti interessate” e “nel rispetto della legge e nello spirito del partenariato sociale”. Questa, almeno, è la lettura che ne fa una delle protagoniste di una vicenda che la settimana scorsa ha allertato il personale, scosso la politica regionale (e non solo), e fatto scendere sul piede di guerra Ocst e Unia. L’associazione, infatti, rispedisce le accuse al mittente. In altre parole, nessuna situazione peggiorativa. Anzi. L’accordo, vanta Delogu, prevede “diversi benefit”, un “concetto meritocratico” (criteri la formazione e l’anzianità) e “un’indennità di residenza per i lavoratori residenti” (in uno dei contratti si parla di 200 franchi al mese), considerata una “clausola moderna e innovativa”. Senza trascurare, però, il fatto che larga maggioranza dei dipendenti è frontaliere. Date delle risposte, altri interrogativi restano comunque aperti. A cominciare dalla natura dell’associazione stessa, messa in dubbio dai due sindacati storici. Domani, martedì, a dire la sua in un incontro con la stampa sarà il presidente di TiSin, Nando Ceruso.
Sta di fatto che sul banco degli imputati per il presidente (nonché avvocato) di Ticino Manufacturing ci è finito il salario minimo (di 19 franchi l’ora) in attuazione dal dicembre prossimo. La sua introduzione, scandisce in una nota, ha “posto alcune aziende con le spalle al muro” e la pandemia, rincara, non ha certo aiutato a migliorare le cose. La situazione Covid, motiva, ha “eroso le riserve delle aziende”. Del resto, rilancia ancora Delogu, i problemi erano stati palesati e le difficoltà “annunciate a più riprese” nella marcia di avvicinamento all’entrata in vigore della norma cantonale. Morale, le imprese – che si dice essere “membri di Ticino Manufacturing”, associazione che non figura a Registro di commercio – sono state “costrette” a cercare soluzioni-vie d’uscita, ergo a siglare quel Ccl a un paio di mesi dall’obbligo di legge. In passato, va ricordato, le tre industrie non erano mai giunte a quella firma. Oggi, però, torna alla carica l’associazione di categoria, la soglia minima salariale mette “in pericolo l’esistenza stessa delle aziende e i molti posti di lavoro”. Posti, si rivendica, che nella maggior parte dei casi hanno “salari superiori alla soglia minima definita dal Gran Consiglio”.
E qui Ticino Manufacturing, che dichiara “grande preoccupazione” per le reazioni del mondo sindacale e difende le tre industre locali in nome del “benessere” assicurato al cantone in tanti decenni e dell’indotto generato a favore di altre imprese ticinesi, mette in fila i suoi argomenti a sostegno della strategia dei suoi associati (e contro il salario minimo). In cima alla lista c’è l’impossibilità di “preservare a medio-lungo termine la produzione in Ticino”, la paventata ‘fuga’ all’estero. Davanti alle maestranze negli incontri e nelle assemblee che si sono susseguiti negli ultimi giorni c’è, infatti, chi ha parlato di Europa dell’Est o addirittura Cina. E qualcuno, d’altro canto, in Polonia e Romania ha già portato parte della sua attività.
Agli occhi del presidente Delogu, poi, il nuovo accordo rappresenta la strada per “preservare tutti i salari attualmente in vigore” e semmai assicurare degli adeguamenti. Anche perché, osserva, “delle 12 soglie minime contemplate dal Ccl, la metà si trova al di sopra del salario minimo cantonale, mentre la maggior parte dei collaboratori delle aziende è già oggi sopra la soglia minima”. Le tabelle a contratto segnalano come le attuali buste paga – riconfermate nella proposta messa in votazione – sono, di base, sopra i 19 franchi l’ora di legge per i lavoratori con ruoli di responsabilità, preparazioni specifiche o attività di particolare rilievo. E allora, viene da chiedersi, quanti sono gli operai che si ritrovano al di sotto della soglia minima?
Per finire Ticino Manufacturing fa leva pure sui cosiddetti ‘benefit’ aggiuntivi decisi da ogni singola azienda. Di cosa si tratta? Delogu cita “il servizio mensa, un contributo maggiore di cassa pensione, ulteriori giorni di vacanza e congedi e altre prestazioni extra lavorative”. Bonus ai quali Ocst e Unia contrappongono quanto scritto nel Ccl stesso come, fra altri, il cambio fisso franco-euro (a 1,15), i congedi ridotti all’osso o il fatto che il tempo dedicato a una visita medica non verrà retribuito senza un certificato di inabilità lavorativa. Tutte condizioni che hanno fatto gridare vendetta al cielo ai sindacati.