Da oggi si arruolano i volontari che aiuteranno i ricercatori guidati dallo Iosi a testare l'efficacia di un farmaco antiormonale usato in oncologia
Il suo nome è Enzalutamide. Non è una parola magica, ma potrebbe essere prodigiosa. Si tratta, infatti, di un principio attivo che potrebbe avere il potenziale per diventare un prezioso alleato di ricercatori e medici impegnati contro il Covid-19. Tutto sta in una molecola organica sin qui utilizzata nella terapia del cancro alla prostata. Ora, però, c'è la speranza che possa aiutare a chiudere, letteralmente, la porta in faccia al virus - il Sars-Cov-2 -, impedendogli di replicarsi nelle cellule delle persone contagiate (o per lo meno frenandone l’azione nefasta) attraverso il blocco del recettore androgenico che regola una degli importanti accessi del virus, il TMPRSS2. Qui a livello cantonale gli investigatori scientifici confidano molto nelle capacità del farmaco - un antiormonale - di rivelarsi potenzialmente utile nel trattamento dell’infezione virale. A tal punto da essersi tuffati anima e corpo in uno studio clinico, ribattezzato Covid-Enza, con l'intento di mettere alla prova dei fatti quel medicamento. La sperimentazione, tutta ticinese, può contare su una squadra scientificamente di prestigio internazionale. La conduce lo Iosi, l’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana, guidato dalla professoressa Silke Gillessen Sommer, e si fa forte della collaborazione dell’Irb, l’Istituto di ricerca in biomedicina, dello Ior, l’Institute of oncology research, dell’Ordine dei medici e del Cardiocentro, oltre che della collaborazione e del sostegno (anche finanziario) dell’Ente ospedaliero cantonale (Eoc). Tutti sono pronti a varare la fase di sperimentazione, rinsaldati dal via libera di Swissmedic e dal Comitato etico cantonale. Adesso, insomma, serve solo l’aiuto dei pazienti.
La voce di Ricardo Pereira Mestre, oncologo dello Iosi, nonché ricercatore sul tumore alla prostata, è pacata e infonde fiducia in chi, nella cittadinanza, di questi tempi è in cerca di rassicurazioni. È quella di una persona che ha la consapevolezza che solo la scienza potrà aiutare a trovare delle risposte all’emergenza sanitaria che ha un po’ travolto la vita di tutti. È lui il medico investigatore principale della sperimentazione - supportato da tutto il team dello studio -, che da oggi diventerà il punto di rifermento di quanti accetteranno di partecipare al test. «L’arruolamento dei pazienti ha inizio», ci dice con una certa trepidazione. D’altra parte, il responso sull’efficacia dell’Enzalutamide potrebbe fornire un contributo davvero significativo nell’approccio terapeutico al Covid. Ma il coordinatore dello studio, come tutti gli scienziati, sa bene che occorrono le prove. Prima di vedere i risultati la gestazione sarà lunga diversi mesi.
A essere illuminante durante la crisi Covid per il gruppo di ricercatori, impegnanti in prima persona nella lotta al Covid-19, è stata una pubblicazione sulla rivista accademica ’Nature’, nella quale si illustravano le caratteristiche del coronavirus e le modalità con cui riesce a insinuarsi nelle cellule sane. «In effetti - spiega a ’laRegione’ il dottor Pereira Mestre -, insieme al nostro primario professoressa Gillessen e ai colleghi dello Ior professor Alimonti e professor Catapanoabbiamo, abbiamo notato che una delle sue porte d’entrata fondamentali fa leva su una proteina - chiamata appunto TMPRSS2 -, che rende possibile la sua replicazione. Il processo è strettamente regolato da un recettore androgenico, che nella prassi riconosciuta noi blocchiamo con i farmaci usati per il tumore alla prostata: in una sola parola l’Enzalutamide. Ecco che bloccare il recettore - ribadisce il'oncologo - significa ridurre la produzione di questa proteina e, di conseguenza, impedire o limitare l’ingresso del virus nelle cellule sane e il suo moltiplicarsi, in modo da controllare meglio i sintomi e scongiurare possibili complicazioni in un decorso grave della malattia. Grazie al contributo di importanti medici e professori ticinesi, tra cui Gillessen, Sessa, Catapano, Alimonti, A. e F. Cavalli, Rinaldi, Rossi, Stathis, Vogl, Bernasconi, Pedrazzini, Moccetti, Denti, Torri, Cantù e molti altri, abbiamo una task forse scientificamente molto solida».
A quel punto attorno alla teoria degli androgeni si è acceso l’interesse, dentro e fuori i confini cantonali. E ad attirare l’attenzione degli studiosi ticinesi sono stati, in particolare, i dati epidemiologici. «Abbiamo visto che gli uomini hanno dei decorsi molto più gravi rispetto alle donne - ci illustra il medico e ricercatore -. Per esemplificare, nelle cure intense sono stati ricoverati molti più uomini che donne in condizioni gravi con Covid-19. Il distinguo non è su chi si ammala di più, bensì sull’evoluzione della malattia. Lì, come detto, è più seria negli uomini; soprattutto se di una certa età - oltre i 65 anni - o con dei fattori di rischio come il diabete, l’ipertensione, i problemi cardiovascolari, la bronchite cronica e i tumori attivi fra vari altri». Ora è tra questi malati, con una diagnosi da infezione da Sars-Cov-2 e un rischio più elevato di presentare delle complicazioni, che si vuole usare il farmaco per prevenire possibilmente un decorso grave. «Abbiamo visto infatti che vi possono essere dei rapidi peggioramenti in pazienti che fino a poco prima stavano apparentemente bene».
Lo studio, ci introduce, il dottor Pereira Mestre, sarà condotto su 90 pazienti e su un arco di tempo dipendente dall’epidemia nel nostro cantone: tutti maschi adulti (con più di 50 anni) e almeno un fattore di rischio. «Di questi 90 pazienti - cui sarà sottoposto un consenso informato, ndr -, una metà sarà trattata con l’Enzalutamide e assumerà così il farmaco per un periodo di al massimo 28 giorni, mentre l’altra no. Solo in questo modo potremo mettere a confronto i due gruppi e trarre le debite conclusioni scientifiche». Come agisce in sostanza questo medicamento? «Possiamo dire che l’uomo anziano che lamenta delle polimorbidità viene trasformato, per dare un’idea approssimativa comprensibile, in un bambino da un punto di vista ormonale. Andando a cercare di bloccare i recettori degli androgeni per non far entrare il virus nelle cellule per replicarsi».
Con l’obiettivo ben chiaro in mente, la squadra coordinata da Ricardo Pereira Mestre - che sta lavorando anche su altre ricerche - vorrebbe aprire la strada alla speranza tra i malati - che si ritrovano con il tampone positivo al Covid-19 - e con loro ai medici di famiglia. Sia gli uni che gli altri, una volta venuti a conoscenza di quanto si sta facendo, potranno informarsi e beneficiare di questo studio clinico. Del resto, la sperimentazione, fa notare il coordinatore, non si indirizza verso pazienti ospedalizzati, bensì sarà portata avanti al domicilio del volontario. «Interverremo quando la persona sta ancora relativamente bene, ben consci dei suoi fattori di rischio, ma con l’intento di prevenire il decorso grave». Diciamo che la vostra missione è quella di battere il virus sul tempo. E ciò ha messo gli occhi del mondo scientifico sul piccolo Ticino.
Un aspetto da non trascurare, come detto, è il fatto che seguirete i volontari a casa. «Qui ci verrà in aiuto la tecnologia - annota il Pereira Mestre -. Il paziente, infatti, sarà gestito al proprio domicilio applicando lo standard migliore grazie al monitoraggio in remoto, una novità già consolidata in Ticino durante l’epidemia. Sarà quindi possibile tenere sotto controllo da un lato i sintomi e dall’altro i parametri vitali, come la saturazione di ossigeno, il polso, la pressione e la temperatura. Da questo punto di vista avremo il supporto del medico curante del paziente, della Centrale 144 e del Cardiocentro Ticino, oltre che delle infermiere dell’aiuto domiciliare». Il che restituisce una sicurezza in più in quanti aderiranno allo studio. A completare le informazioni sulle condizioni del singolo paziente vi saranno pure dei prelievi di sangue e degli strisci naso-faringei per misurare la carica virale. Qualora il tampone dovesse risultare negativo, il trattamento verrà sospeso. «Tutto - garantisce il coordinatore - sarà fatto a regola d’arte e secondo un protocollo rigoroso». È dunque in questo contesto che si interverrà con un farmaco che, potenzialmente, può essere d’aiuto. Se poi l’efficacia sarà provata, si consegnerà ai medici uno strumento terapeutico in più nella cura del Covid- 19 e nella prevenzione delle complicazioni più gravi. A fare da spalla vi saranno altresì i Check-point Covid, così come i medici di famiglia o le Hotline attive nell’ambito del controllo nella diffusione del virus, che saranno informati sullo studio. «Si può affermare senza timore di essere smentiti che questo è uno studio che ha trovato grande supporto dalla efficiente rete di cure contro il Covid-19 all'interno del Ticino. Diversi attori che daranno sicuramente un contributo nell’identificazione del paziente giusto per darci modo di conoscere meglio questo virus e capire se la nostra teoria si rivelerà veritiera, accorciando così, speriamo, i tempi di guarigione e soprattutto prevenendo le potenziali gravi complicazioni». L’approccio, come testimonia il documento che sarà consegnato ai pazienti, è improntato alla massima trasparenza: dal percorso clinico ai rischi e agli effetti collaterali che possono accompagnare l’assunzione del farmaco. Anche se su questo fronte a giocare a favore del malato ci sarà la durata, breve, del trattamento.
Alla fase due, poi, se tutto va bene, si dovrebbe far seguire una fase tre, che coinvolgerà un numero maggiore di pazienti, con la necessità di estenderla a livello multicentrico, eventualmente mondiale. Questo sarebbe un grande risultato per uno studio nato dall’idea di ricercatori ticinesi. Non si può nascondere, però, l’interesse della casa farmaceutica che produce il farmaco al centro di tanta attenzione. «Il suo interesse a diffondere il medicamento - che sarà fornito a titolo gratuito, ndr - è evidente. Va detto, però, che non è l’industria che ci è venuta a cercare, ma noi che abbiamo pensato che il farmaco potesse essere utile. La gestione, quindi - assicura Pereira Mestre -, è totalmente indipendente dalla casa farmaceutica, che non ha potuto influenzarci in alcun modo». Chi finanzia la ricerca? «In parte la titolare del farmaco - che ha assicurato in totale un contributo di mezzo milione di franchi - e in parte l’Eoc: abbiamo vinto un concorso competitivo interno». A ben vedere, se la ricerca farà centro avremo vinto un po’ tutti, i pazienti per primi.